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I mille volti dei vampiri, creature non-morte che… non passano mai di moda!

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I mille volti dei vampiri, creature non-morte che… non passano mai di moda!

“Esistono creature particolari, chiamate Vampiri. Qualcuno di noi ha prove della loro esistenza. Nonostante noi non abbiamo assoluta certezza riguardo alla nostra triste esperienza, gli insegnamenti e le testimonianze del passato sono prova sufficiente per persone con occhi ben aperti.”

(“Dracula”, Bram Stoker)

Se pensiamo ai Vampiri ci vengono in mente creature pallide e bellissime, vestite in stile “gotico”, con canini aguzzi e refrattarie alla luce del sole; ma questo è un ritratto originato dai romanzi gotici del XIX secolo e poi andato delineandosi in modo sempre più dettagliato con il passare degli anni; sebbene ogni autore, pur mantenendo delle caratteristiche comuni, ha connotato il suo Vampiro con attributi peculiari.

Ma ciò che è più importante sapere è che prima che scoppiasse la “Vampiromania” dell’Ottocento, i Vampiri erano immaginati con sembianze totalmente diverse.

Il Vampiro, chi è costui?

Come sempre incominciamo dall’inizio, spiegando prima di tutto chi è il Vampiro.

– Momento Superquark con, come sottofondo musicale, l’“Aria sulla quarta corda” di Bach –

Il Vampiro è, in primis, un “non-morto”, una creatura che vive, fisicamente, dopo la morte, con la sua anima – secondo alcune scuole di pensiero – o perché, il corpo di una persona morta, viene animato da uno spirito che se ne è impossessato.

A tal proposito mi viene in mente un fatto interessante che Dante fa spiegare a frate Alberigo nel Canto XXXIII dell’“Inferno”, dove si narra delle anime che si trovano nel Cocito, il lago ghiacciato, cuore dell’inferno in cui è conficcato Lucifero e dove scontano la loro pena eterna i traditori. Dante quando, appunto, incontra questo frate Alberigo, se ne stupisce molto, poiché sa per certo che egli è ancora in vita; allora questo personaggio gli spiega che a volte, quando ormai un’anima si è macchiata di tali crimini da non potersi riscattare in alcun modo, viene sottratta al corpo anzitempo, cominciando a scontare la condanna divina, mentre il corpo, fino al termine del tempo per cui era stato prestabilito vivesse, viene posseduto da un demone che lo governa fino alla morte.

Ma lascio che sia Dante a narrarvelo con i suoi versi:

“«Oh», diss’io lui, «or se’ tu ancor morto?».

Ed elli a me: «Come ‘l mio corpo stea

Nel mondo su, nulla scienza porto.

Cotal vantaggio ha questa Tolomea,

che spesse volte l’anima ci cade

innanzi ch’Atropòs mossa le dea.

E perché tu più volentier mi rade

Le ‘nvetriate lagrime dal volto,

sappie che, tosto che l’anima trade

come fec’io, il corpo suo l’è tolto

da un demonio, che poscia il governa

mentre che ‘l tempo suo tutto sia vòlto.

Ella ruina in sì fatta cisterna;

e forse pare ancor lo corpo suso

de l’ombra che di qua dietro mi verna”

(“Inferno”, Canto XXXIII, 121–135, Dante)

Ritornando al Vampiro, sia che nel cadavere alberghi l’anima del suo vero proprietario, sia che lo possieda un demone, il corpo in questione per continuare a vivere dopo la morte, ha bisogno di alimentarsi con l’essenza vitale per eccellenza: il sangue.

E se facciamo per un istante un salto indietro nel tempo ad appena 3570 anni fa – sebbene non ci sia alcun riferimento al fenomeno del Vampirismo – è interessante evidenziare come alcune caratteristiche che successivamente entreranno a far parte del “mito” del Vampiro, si trovino nel popolo che più di ogni altro si è dedicato alla conservazione dei corpi dei defunti per una vita dopo la morte: gli Egizi. Nel “Libro dei morti” – un antico testo funerario – infatti, le formule 2, 9, e 180 servono per uscire alla luce del sole e vivere dopo la morte, mentre le formule 27 e 29 non permettere che a un uomo venga tolto il cuore, mentre la formula 43 è contro la decapitazione; infine, le formule 76, 85, 163 e 164, servono rispettivamente per trasformarsi in qualunque forma si desideri, per trasformarsi in un’anima e per impedire che il cadavere di un uomo vada in decomposizione.

Il sangue

Ora approfondiamo la faccenda del sangue, che fin dall’antichità è stato considerato l’essenza stessa della vita. Dunque, bere sangue altrui è considerato alla stregua di impossessarsi della vita di qualcun altro; per questo nella Bibbia, c’è il divieto categorico di cibarsi di sangue:

“Non mangerete la carne con la sua vita, cioè con il suo sangue.”

(Genesi 9, 4)

“Qualunque Israelita, o qualsiasi forestiero dimorante, in mezzo a voi, che mangi del sangue, di qualunque genere, Io volterò la mia faccia contro il temerario, che ha osato mangiare il sangue, e lo eliminerò dal suo popolo: perché la vita della carne è nel sangue: ed Io vi ho dato il sangue, ordinandovi di fare con quello sull’altare l’espiazione per le vostre vite; poiché è il sangue, che espia in luogo della vita. Per questo ho comandato ai figli d’Israele: Nessuno di voi, né dei forestieri che fra di voi dimorano, mangi del sangue. [   ] Perché la vita di ogni carne è il suo sangue : nel sangue sta la vita. Ecco la ragione per cui ho comandato ai figli d’Israele: Non mangiate sangue di nessun animale”, perché il sangue è la vita di ogni carne: chiunque ne mangia, sia ucciso.”

(Levitico 17, 10–14)

E quanto è antico per gli uomini il divieto di nutrirsi di sangue, tanto è antico il mito di esseri divoratori di sangue: nella mitologia sumero-babilonese figure femminili divine o demoniache sanguinarie simbolo, al contempo di fecondità, sensualità e distruzione, come la dea Ishtar o il demone Lilitu che, a oriente, potrebbero aver influenzato la connotazione della divinità indù Kalì – in un mito si narra come sia stata l’unica dea in grado di uccidere Raktabija, il demone contro il quale gli dei avevano ingaggiato lo scontro finale. Raktabija sembrava invincibile, in quanto appena una goccia del suo sangue toccava terra nasceva un altro demone e così all’infinito. Kalì, con la sua bocca, bevve tutto il sangue di Raktabija evitando che toccasse terra e poi gli tagliò di netto la testa – e a occidente, al demone ebraico Lilith che a sua volta ispirerà le lamie: come lei figure femminili, rapitrici di bambini e seduttrici di giovani uomini che adescavano per poi nutrirsi del loro sangue e della loro carne. Queste ultime sopravvivranno attraverso l’Impero Romano fino al Medioevo nella figura delle succubi: demoni femminili, anch’essi notturni, con il medesimo aspetto attraente; come le lamie si recavano di notte da giovani uomini per sottrarre il loro principio vitale e no, questa volta mi riferisco a un altro liquido organico…

Come evitare che un defunto diventi un Vampiro?

Parallelamente continua a sopravvivere la paura del “revenant” – il non morto di cui vedi sopra – il timore era così antico e radicato che, probabilmente, il famoso rito di mettere una moneta sulla o nella bocca del defunto non serviva solo a permettere all’anima della persona scomparsa di pagare il traghettatore delle anime per raggiungere l’aldilà, ma anche per sigillare la bocca del morto per impedire che un spirito si impossessasse del corpo.

In seguito, per scongiurare la possibilità del ritorno del defunto, i metodi per assicurarsi la sua definitiva dipartita erano molteplici: pietre sul corpo, sassi in bocca, seppellirlo a pancia in giù, tagliare i tendini all’altezza del ginocchio, aspergere la tomba con acqua bollente, infilare aghi di acciaio o di ferro nel cuore e pezzi di ferro nella bocca, sugli occhi, nelle orecchie e tra le dita o, infine, bruciare il corpo, tanto per stare tranquilli.

Come riconoscere un Vampiro da un defunto?

Ma se le accortezze non bastavano e il morto riusciva a “tornare”, quali erano le caratteristiche per poterlo riconoscere?

Il Vampiro, prima dei romanzi gotici dell’Ottocento, si riconosceva dall’aspetto gonfio e pasciuto, dal colorito scuro, ovviamente dovuto all’alimentazione a base di sangue, di cui solitamente rimanevano tracce sulle labbra e sul naso; inoltre, al Vampiro continuavano a crescere denti, unghie e capelli. Naturalmente nessuna di queste caratteristiche aveva a che fare con il processo di decomposizione che vede gonfiare il cadavere a causa dei gas accumulati nel tronco, la cui pressione può spingere il sangue ad uscire dal naso e dalla bocca; oppure che dopo la morte, la pelle e le gengive perdono liquidi e si contraggono, esponendo alla vista le radici di capelli, unghie e denti. Assolutamente no. Ma prima ancora di riconoscere un Vampiro da un banale cadavere, bisognava individuare la tomba in cui risiedeva e per questo c’era un metodo infallibile che consisteva nel far cavalcare un ragazzo vergine su uno stallone vergine all’interno di un cimitero: il cavallo si sarebbe fermato sopra la tomba in questione. Generalmente era necessario un cavallo nero.

Inoltre, un altro elemento indicativo per comprendere se una persona morta fosse diventata un Vampiro era il fatto che i membri della sua famiglia gradualmente, si ammalavano e morivano. A tal proposito è interessante vedere come “nosferatu” – il termine con cui in rumeno arcaico viene chiamato il Vampiro – potrebbe provenire dal lemma greco nosophoros (νοσοφόρος), che significa “portatore di malattie”.

I Vampiri letterari dell’Ottocento

Con questa concezione del Vampiro si giunge al XIX secolo e allo scritto che riporterà in auge questa creatura; conferendogli nuova linfa e notorietà. Penserete mi stia riferendo a Dracula di Bram Stoker… e invece no. Il primo scritto ottocentesco che tratta di Vampiri è: “Il Vampiro”, dalla penna del medico e scrittore John William Polidori. “Il Vampiro” di Polidori narra di un uomo misterioso, Lord Ruthven – il Vampiro – di un giovane inglese di nome Aubrey e del loro viaggio in Europa. In questo racconto avviene la trasformazione del mostruoso Vampiro del folklore in affascinante demone aristocratico, e come sarebbe potuto essere diversamente, visto che lo scrittore, per la figura di Lord Ruthven, pare si sia ispirato al suo amico poeta – nonché impenitente sciupafemmine bello quanto maledetto – Lord Byron.

Dopo “Il Vampiro” di Polidori, farà la sua apparizione… no, non è ancora il momento di Dracula, bensì di “Carmilla”: un racconto del 1872 dello scrittore irlandese Sheridan Le Fanu, che tratta di una Vampira con i seducenti tratti di una succubo, ma dalle tendenze decisamente più omosessuali. Questa figura iconica sarà la capostipite di una stirpe di Vampire saffiche protagoniste di opere letterarie e cinematografiche come “La figlia di Dracula” (1936), “Daughter of darkness” (1971), “Miriam si sveglia a mezzanotte” (1983) fino alla recentissima serie Netflix “First Kill”.

E infine giungerà Lui, il Vampiro dei Vampiri, il più tenebroso e affascinante di tutti, il succhiasangue cui sono state dedicate ben quarantaquattro pellicole il – rullo di tamburi – Conte Dracula!

Il romanzo “Dracula” venne scritto nel 1897 da un altro scrittore irlandese: Bram Stoker. Grazie a quest’uomo, si delineerà un’altra figura che diventerà celebre quasi quanto il protagonista della sua opera: il cacciatore di Vampiri, antagonista per eccellenza di queste creature.

La stirpe dei cacciatori di Vampiri

Partendo dal professor Abraham Van Helsing – nel romanzo di Bram Stoker – questa figura avrà una notevole fortuna letteraria e cinematografica, che vedrà questo ruolo ricoperto da persone molto diverse tra loro; persino da una liceale americana nella serie televisiva “Buffy l’ammazzavampiri”, prodotta tra il 1997 e il 2003. Anche se il mio cacciatore di Vampiri preferito rimane il Van Helsing – dell’omonimo film – interpretato da Hugh Jackman, bello quanto trash.

Come uccidere un Vampiro?

“Mina: Come è morta Lucy?

Van Helsing: Beh…

Mina: Ha sofferto molto?

Van Helsing: Sì, ha sofferto molto. Ma poi le abbiamo tagliato la testa, conficcato un paletto nel cuore e l’abbiamo arsa. Finalmente ha trovato la pace!”

(“Dracula di Bram Stoker” di Francis Ford Coppola, 1992)

Questa citazione introduce un breve ma esauriente elenco di metodi per uccidere un Vampiro.

Un Vampiro muore con la luce del sole, se decapitato, se fatto a pezzi e bruciato – o semplicemente bruciato – e naturalmente, se gli si conficca un paletto di legno di frassino nel cuore.

Ma perché il paletto deve essere proprio di legno di frassino?

Il frassino ha proprietà medicamentose – lassativa, diuretica, antinfiammatoria, antireumatica, antiartritica – e si utilizzava sia per costruire le bacchette magiche, sia per rompere sortilegi, malefici e per scacciare presenze maligne. Nell’antichità questa pianta è stata consacrata tanto a Poseidone quanto a Odino; infatti, nella mitologia nordica Yggdrasill l’Albero del Mondo è proprio un frassino. Nell’antichità sia i greci che i celti utilizzavano il legno di frassino per fabbricare i manici delle loro armi. Infine, le foglie messe sotto al guanciale erano considerate propiziatorie per i sogni medianici. Credete che possa bastare?

Il primo Vampiro al cinema

Il 4 marzo 1922, a Berlino, venne proiettato per la prima volta sul grande schermo un Vampiro: il Conte Orlok, nel film muto “Nosferatu il Vampiro”, diretto da Friedrich Wilhelm Murnau. Tuttavia la pellicola era liberamente – ma molto fedelmente – ispirata a “Dracula” di Bram Stoker, a tal punto che, per problemi legati ai diritti legali dell’opera, il regista fu comunque denunciato dagli eredi di Stoker; perse la causa per violazione del diritto d’autore e venne condannato a distruggere tutte le copie della pellicola, sebbene una copia “clandestina” fu salvata dallo stesso Murnau, e il film è potuto sopravvivere ed arrivare ai giorni nostri.

Il Conte Orlok è rappresentato come una creatura fasciata in un abito nero, pallida, priva di capelli, con grandi orecchie appuntite e occhi intensi; esattamente come la figura ritratta nel 1885 dall’onirico pittore Odilon Redon nell’opera “Il mostro”.

Coincidenze? Io non credo proprio…

I denti dei Vampiri

Ma c’è un’altra caratteristica del Conte Orlok su cui voglio soffermarmi: i denti. Nel caso di questo Vampiro sono gli incisivi ad essere lunghi e aguzzi, non i canini.

E qui si intavola la questione dei denti del Vampiro. Noi ormai siamo abituati a vedere Vampiri che mordono la loro vittima con canini lunghi e affilati, ma non è sempre stato così. Nell’antichità non si è mai parlato di denti dei Vampiri più lunghi e affilati di altri nella dentatura. Al massimo si parlava di un allungamento della totalità dei denti – vedi sopra le caratteristiche che distinguevano un Vampiro da un normale cadavere – o addirittura – secondo il folklore russo – di una lingua appuntita con cui il Vampiro praticava la ferita per suggere il sangue dalla propria preda; mentre in epoca contemporanea, dopo l’“unicum” degli incisivi del Conte Orlok, si sono attestati come caratteristica dei Vampiri dei canini più lunghi e affilati del normale, alcune volte retrattili.

Il fascino del Vampiro

Ma un fatto su cui ormai si è concordi è il fascino esercitato da questa creatura, anche sulle sue vittime. Diciamolo, i Vampiri sprizzano charme da tutti i pori, che siano impotenti e frigidi come quelli di Anne Rice oppure “calienti” come quelli di “True Blood”, “The Vampire Diaries” o “Twilight”; anche se, a proposito di quest’ultima opera, nutrendosi esclusivamente di sangue e non possedendo altro fluido corporeo – infatti piangono lacrime di sangue – non ho ancora compreso come Edward sia riuscito a mettere incinta Bella

Ma magari di questo ne parleremo un’altra volta.

Comunque, dicevamo che il fascino del Vampiro è indiscusso e, in un manhwa – così si chiamano i manga coreani – come “Blood Bank” si è data anche una spiegazione “scientifica” a questo fenomeno, giustificando l’effetto prodotto sugli esseri umani con una produzione di grandi quantità di feromoni.

P.S. Se volete apparire più “affascinanti”, esistono profumi contenenti feromoni… ma io non vi ho detto nulla.

Ma feromoni oppure no, l’attrazione esercitata dal Vampiro è irresistibile. A tal proposito, vi consiglio il film “Vampiro per caso” (2015) in cui un adolescente fa credere di essere un Vampiro per ottenere maggior popolarità a scuola e ovviamente… ci riesce!

Perché l’essere umano non si arrende neppure davanti alla palese evidenza dell’impossibilità che esistano dei veri Vampiri. Non mi credete?

Vampiri sedicenti e clinici

Avete mai sentito parlare della LIRV?

LIRV è un acronimo che sta per Lega Italiana Real Vampires.

– Momento di silenzio imbarazzato –

La LIRV è un’associazione nazionale nata nel dicembre 2012. Si tratta dell’unica associazione legale di Real Vampires riconosciuta di fatto in Italia e con uno statuto nazionale registrato presso l’Agenzia delle Entrate di Cesena (precisamente a Meldola). Fondatore dell’associazione e attualmente presidente nazionale, è Horus Sat (vi consiglio caldamente di andare a leggere e vedere le sue interviste, ne vale la pena).

Ciò che ora riporterò è tratto pedissequamente dal sito ufficiale della LIRV:

“La LIRV riunisce, in qualità di soci iscritti, le seguenti categorie di diversità e minoranze sociali: Real Vampires, Real Werewolves, Therians, Otherkins, Streghe, Wiccan, Pagani e persone di altri culti e filosofie, persone Gay, Bisex, Transessuali, Etero.”

A questo punto, dato il numero, la varietà e la fantasiosità delle minoranze, non vedo perché non aggiungere anche le cromantule e i nargilli…

Comunque a parte gli scherzi, questi “Real Vampires” si suggestionano a tal punto da autoconvincersi di avere necessità – sebbene in quantità modeste – di sangue umano

E tu pensi: chi è quella persona dall’intelligenza tanto singolare da cedere anche una sola goccia del proprio sangue ad una persona che afferma di essere un vero Vampiro? Ma purtroppo troppo spesso sopravvaluto il genere umano e, ahimè, esistono persone che volontariamente si privano saltuariamente di quantitativi del proprio sangue per donarlo a questi sedicenti Vampiri. Il tutto è regolamentato da un contratto che va firmato per sancire il rapporto tra donatore e ricevente; ovviamente scaricabile dal sito ufficiale della LIRV.

È incredibile che ci sia gente che offre il proprio sangue – fosse anche una sola goccia – a persone vittime della loro stessa suggestione, piuttosto che donarlo all’AVIS.

A parte questi strani individui, esiste anche una patologia reale che spinge chi ne è affetto a cibarsi di sangue, preferibilmente umano: la sindrome di Renfield.

Questa denominazione è stata coniata dallo psichiatra Richard Noll nel 1992, prendendo il nome dal personaggio che nel romanzo di Bram Stoker diventò pazzo a causa degli oscuri poteri del conte Dracula e che per la sua follia, fu rinchiuso in manicomio. Lì cominciò a mangiare mosche per assorbire la loro energia vitale, quindi iniziò ad offrire le mosche ai ragni e agli uccelli affinché le mangiassero, nella convinzione che mangiando poi quegli stessi uccelli, sarebbe riuscito a rendere sua un’energia aumentata in modo esponenziale.

La persona che soffre della sindrome di Renfield – chiamata anche Vampirismo clinico – è mossa dalla convinzione delirante che il sangue umano possieda una grande energia rivitalizzante e che berlo le permetta di appropriarsi dell’energia vitale della persona che è stata dissanguata per fornirlo.

Conclusioni

Ma in fin dei conti esistono solo tre veri e autentici Vampiri al mondo degni di questo nome divenuto leggenda: il Desmodus rotundus, un simpatico pipistrello che vive in America centrale e meridionale e si nutre esclusivamente di sangue, la sanguisuga – ovviamente– e infine Lei, la regina delle notti estive e ormai anche autunnali, invernali e primaverili, colei che vìola le nostre carni suggendone la linfa vitale mentre riposiamo ignari e indifesi nelle nostre alcove; forse non bella, ma di sicuro maledetta, sua altezza… la zanzara!

About Author

Sabrina Amato

Sabrina ama l’arte, così tanto da prendersi due lauree per avere ancor più motivi per amarla. Prova un fascino irresistibile per tutto ciò che non conosce, che sia profondo o lontano, e quindi adora l’acqua, nuotare, il mare e gli oceani, ma adora anche le danze orientali e le arti marziali. Nerd con la passione per il vintage, nel tempo libero partecipa come miss agli eventi del Miss Pin Up WW2 e ad ogni Romics come cosplayer. Sa resistere a tutto tranne alle tentazioni, ai gatti, ai cartoni animati e ai libri.

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