I nani: storia e leggenda di una creatura leggendaria e… reale!
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Oggi parleremo di una creatura leggendaria presente in fiabe, templi, opere d’arte e… nel nostro giardino!
Il Nano, a differenza di molte altre figure che abbiamo trattato, ha la particolarità di esistere realmente nel nostro mondo, ma ad opera del folclore popolare, la sua natura è stata trasformata rendendolo una creatura leggendaria dal carattere e dalle caratteristiche alquanto particolari.
I primi riferimenti letterari ai Nani si trovano nell’”Edda Poetica“, una raccolta di poemi mitologici in lingua norrena – cioè dell’area scandinava e islandese – composti in Norvegia o in Islanda tra il IX e l’XI secolo d.C.. In questi poemi si narra di una guerra che avvenne tra gli dei e il crudele gigante Ymir e i suoi figli. Vinsero gli dei, e dopo aver ucciso Ymir usarono il suo immenso corpo per fare isole e continenti; col sangue fecero il mare, con le ossa i monti, col cranio il cielo, con i capelli gli alberi, col cervello le nuvole.
Dalla carne del gigante vennero fuori tante piccole creature, basse e robuste, che avevano forma d’uomo, ma uomini non erano. Gli dei li chiamarono Nani, e decisero che avrebbero vissuto nel profondo della terra, tra le rocce e il buio, nel reame sotterraneo di Nidavellir, uno dei nove mondi legato, secondo la Cosmologia della mitologia norrena, al Frassino del Mondo, Yggdrasill. Poi tra questi ne scelsero quattro, i più forti, che si chiamavano Austri, Vestri, Nordri e Sudri, e li misero a reggere i quattro angoli del cielo. Quanto agli altri, diventarono fabbri e artigiani e fabbricarono Brísingamen, la famosa collana di Freya, dea dell’amore, Gleipnir, il laccio magico che tiene prigioniero il gran lupo Fenrir, realizzato con ben sei cose impossibili, compresi l’alito di un pesce e il rumore di un gatto che corre; Gungnir, l’infallibile lancia di Odino con lame capaci di tagliare gli altri metalli con facilità, nonché Mjöllnir, il martello di Thor, che una volta lanciato, uccideva centinaia di nemici e poi tornava dal suo proprietario.
I Nani erano generalmente considerati egoisti, avidi e astuti. Potevano essere ritenuti divinità minori, similmente agli elfi (della luce), il che può suggerire il motivo per cui acquisirono il nome di elfi neri o oscuri. Quindi sì, se ve lo state chiedendo, nel film “Thor: The Dark World“, il nostro dio norreno preferito, non dovrebbe affrontare vampirelli smunti e anemici, ma Nani.
Un filone letterario che ormai è diventato un universo mitologico a sé di cui non possiamo non parlare è quello tolkeniano.
I primi scritti di Tolkien riguardo ai Nani si trovano nei due volumi dei “Racconti Perduti” e dei “Racconti Ritrovati“. In essi i Nani sono creature malvagie, disposti a stipulare alleanze tanto con gli Elfi quanto con gli Orchi. Dagli anni Trenta negli scritti di Tolkien i Nani diventano creature non necessariamente malvagie, ma nemmeno troppo affidabili, interessate unicamente alle ricchezze e al commercio. Insomma, non sembrerebbero personaggi particolarmente positivi. Questa concezione così negativa dei Nani visti, nel migliore dei casi, come una razza calcolatrice viene cambiata radicalmente ne “Il Signore degli Anelli“.
Gimli, ad esempio, rimbrotta Legolas affermando che nessun Nano penserebbe mai di estrarre minerali dalle splendide Caverne Scintillanti di Aglarond, rovinandole. Ed è sempre ne “Il Signore degli Anelli” che appare per la prima volta il termine Khazâd, che Tolkien userà da lì in poi per definire i “suoi” Nani.
Ne “Il Silmarillion” molto altro è detto sui Nani. Viene narrato come siano stati creati da Aulë il Fabbro, per il suo desiderio di avere dei discepoli cui insegnare. Ma, Aulë fu rimproverato da Eru Ilúvatar – il creatore dell’Universo – per la sua opera, in quanto non aveva il potere di creare, ma solo quello di ordinare le cose già create: Eru gli fece capire che senza la Fiamma Imperitura i Nani sarebbero stati come fantocci privi di un’esistenza indipendente da Aulë; ma alla fine Ilúvatar, per compassione, gli concesse di non distruggere le sue creature, accettandole come figli adottivi e donando loro una coscienza indipendente. Aulë rese i Nani:
«[…] forti e resistenti. Per questo sono duri come la pietra, testardi, rapidi a stringere amicizia e a scatenare ostilità, e sopportano la fatica e la fame e il dolore fisico con più fermezza di ogni altro popolo dotato di parola; e vivono a lungo, ben più degli Uomini, eppure non per sempre.»
Se nelle leggende nordiche il Nano è una creatura dalle caratteristiche uniche e particolari, nell’antico Egitto era persino uno degli dei: Bes, una divinità appartenente al pantheon egizio. Nel Medio Regno – dal 2160 a.C. al 1785 a.C. – Bes si era affermato in tutto l’Egitto come divinità protettrice dal malocchio e dalle forze del male e dio della casa, della musica, guaritore e protettore del sonno, della fertilità e del matrimonio, ed era raffigurato con le sue smorfie e linguacce su moltissimi oggetti di uso domestico, dai vasi per cosmetici alle testiere dei letti.
E spingendoci ancor più nella cultura orientale troviamo la figura del Nano, con le stesse caratteristiche fisiche che lo connotavano nelle leggende nordiche, anche nell’affascinante corpus de “Le Mille e una notte“; in particolare nella fiaba de Il principe Ahmed e della fata Paribanu, dove il Nano in questione è proprio il fratello della potentissima fata:
“Il Principe Ahmed tornò dalla fata Paribanu e le espose il desiderio del Sultano.
«Non preoccuparti» gli rispose la fata «l’uomo che il Sultano domanda è mio fratello Sciaibar. Siamo figli dello stesso padre, ma egli non mi somiglia affatto: è violento, e guai se qualcuno suscita il suo sdegno e la sua collera! A parte questo, è molto buono e sempre pronto a render servizio. Lo farò venire qui: preparati solo a non spaventarti quando lo vedrai».
[…] La fata si fece portare un bruciaprofumi d’oro pieno di fuoco e una scatola pure d’oro, dalla quale trasse degli aromi in polvere, che gettò sulle fiamme. Un fumo denso si levò […]. Ahmed guardò e vide un uomo non più alto di mezzo metro, che avanzava gravemente, tenendo nella mano una mazza di ferro del peso di mille chili; aveva una folta barba, che gli scendeva fino ai piedi, e baffi spioventi; due occhi fiammeggianti sotto sopracciglia irsute e una grossa testa, coperta da un berretto a punta, circondato da un turbante.”
Molte altre fiabe esistono con i Nani come protagonisti, in cui la loro natura può essere tanto buona e generosa quanto malvagia e avida; numerose se ne trovano nella raccolta dei fratelli Grimm (1812-1822): I tre ometti nel bosco, Biancarosa e Rosarossa, Tremotino, ma la più famosa è senza dubbio Biancaneve.
Secondo lo storico Eckhard Sander la storia di Biancaneve è ispirata alla vita di Margaretha von Waldeck, contessa tedesca figlia di Filippo IV e della sua prima moglie, nata nel 1553. Quando aveva solo 16 anni la ragazza venne costretta dalla sua matrigna ad andare a vivere in esilio a Bruxelles. Qui conobbe un giovane di cui si innamorò e che successivamente sarebbe diventato Filippo II di Spagna, ma la relazione era considerata politicamente scomoda sia dal padre che dalla matrigna e la ragazza morì avvelenata quando aveva 21 anni. In questa storia, i sette Nani sarebbero i bambini schiavi di Filippo IV che lavoravano nelle miniere di rame per lui e che – a causa dello sforzo disumano a cui erano costretti da piccoli – crescevano poi deformi.
Ma quella di Sander non è l’unica ipotesi sull’identità di Biancaneve: alcuni studiosi, infatti, ritengono che la storia riportata nella fiaba sia quella di Maria Sophia Margaretha Catherina von Erthal, nata in Baviera nel 1725. La ragazza era la figlia di Philipp Christoph von Erthal, un proprietario terriero che si risposò con Claudia Elisabeth Maria von Venningen che non sopportava la presenza della figliastra. La matrigna, quindi, costrinse la ragazza a lasciare il palazzo e vivere nei boschi lì attorno, dove erano presenti numerose miniere di carbone, nelle quali, a causa degli stretti cunicoli, venivano impiegati uomini di statura molto bassa quando non addirittura bambini. Questa sarebbe la fonte di ispirazione dei Sette Nani.
Dunque le fiabe e la mitologia di molte culture diverse pullulano di Nani, ma questi, prima di tutto sono creature esistenti nella realtà, e la loro presenza nel corso della storia non è mai passata inosservata. Abitudine dei potenti di ogni tempo era tenerli a corte, persino nel proprio entourage.
Si Maqian, antico storico cinese, fu il primo a descrivere l’uso di Nani da corte nella cultura orientale. Egli scrisse di You Zan, un Nano di corte all’epoca del primo imperatore della Dinastia Qin (259-210 a.C.). Non sempre a ogni modo i Nani erano trattati bene dai loro padroni in Cina. Un agiografo di Confucio, diverso tempo dopo la sua morte, disse che il saggio aveva ordinato l’uccisione di diversi Nani di corte dopo dei diverbi a seguito di alcuni dibattiti. Inoltre, in Cina, vennero sfruttati anche per scopi sessuali: il giornalista francese Martin Monestier scrisse che l’imperatore Hsuan-Tsung costruì un “Luogo di riposo per mostri desiderabili” per questo scopo. I Nani erano inclusi tra questi “mostri”. L’imperatore Wu Di, che regnò durante la dinastia Han Occidentale, importò numerosi Nani come schiavi o giullari. Yang Cheng, un governatore provinciale, intervenne per aiutarli, ma la pratica continuò ugualmente.
Il costume di tenere Nani a corte era già invalso nella Roma imperiale: in più di un caso, infatti, le fonti ne attestano la presenza al fianco dell’imperatore nelle vesti di fidi consiglieri, pur non mancando testimonianze relative alla copertura di altri ruoli. Tra il 51 e il 96 d.C., difatti, lo storici Cassio Dione, e i poeti Marziale e Sazio ci narrano di combattimenti notturni alla luce delle torce che vedevano scontrarsi gladiatrici – ebbene sì, nell’antica Roma non ci si faceva mancare nulla, neppure le gladiatrici, che combattevano rigorosamente a torso nudo – e Nani.
E se si può pensare che una simile crudeltà poteva avvenire solo in un’epoca “pagana” ci si sbaglia di grosso.
Papa Paolo II, eletto il 30 agosto 1464, conferì al Carnevale Romano quell’aspetto tradizionale che tanto colpì diversi scrittori stranieri, fra cui Dumas, Goethe e Montaigne. Come scrisse lo storico Ludvig von Pastor nella sua celebre Storia dei Papi, Paolo II decise di allestire “cortei bacchici, rappresentazioni mitologiche di numi, di eroi di ninfe e di geni” e dalla loggia del suo palazzo – Palazzo Venezia – volle essere spettatore delle corse. Accanto alle corse “legalizzate” nel corso degli anni si aggiunsero altri tipi di competizioni, da quella dei Nani a quella degli zoppi, senza dimenticare quella dei deformi.
Ma negli stessi anni –1465-1474 – a Mantova, nel Castello di San Giorgio, Andrea Mantegna affrescava quella che sarebbe rimasta un capolavoro indiscusso dell’arte italiana: La camera degli sposi. E proprio nella parete in cui viene ritratta la famiglia e la corte di Ludovico Gonzaga, accanto alla sua sposa, possiamo vedere una Nana che indossa ricche vesti. Il prof. Rodolfo Signorini, ha identificato il personaggio ritratto con la Nana Lucia, una delle accompagnatrici di Barbarina Gonzaga nel suo viaggio verso il Wuttenberg dove avrebbe sposato Eberardo I.
Buffoni di corte o dame di compagnia i Nani erano molto numerosi alla corte dei Gonzaga e ancora oggi occhieggiano dagli affreschi – poiché la Stanza degli Sposi non è l’unico ambiente in cui sono raffigurati – e rimangono legati a un particolare appartamento, purtroppo chiuso da tempo. La “guida rossa” del Touring Club edizione 1914 a pag. 639 così ne parla: “si passa all’appartamento dei Nani, composto di quattro salette e di camerini minuscoli della seconda metà del Cinquecento, in cui abitavano i Nani di corte; scendendo (scala fatta per Nani, attenti alla piccolezza dei gradini) […]”. Per quanto affascinante poteva essere l’interpretazione di questi ambienti, successivamente gli storici dell’arte scoprirono che in realtà si trattava di una riproduzione ridotta della Scala Santa di Roma, davanti a San Giovanni in Laterano.
Lo scrittore Gianni Rodari (1920-1980), quando ancora si credeva che queste stanze fossero realmente appartenute ai Nani della corte di Mantova, ne venne affascinato e ispirato tanto da idearne un racconto per ragazzi: “I Nani di Mantova“. La trama della storia ha ben poco della fiaba: i Nani che vivono alla corte dei Gonzaga di Mantova sono stanchi di essere trattati come animali in gabbia.
I Nani venivano acquistati e venduti in seno alle corti o portati in dono a re e regine. Anche nell’epoca barocca i Nani erano frequentatori abituali delle stanze private e degli alloggi segreti del signore e dei suoi consanguinei, cui abitualmente non era consentito l’accesso né ai camerieri, né ai paggi. Agevolati dalla bassa statura e dalle forme minute, si muovevano con libertà e disinvoltura negli ambienti di palazzo, riuscendo facilmente a nascondersi, così da poter spiare e origliare, non visti; per questo, ci si avvaleva spesso dei loro servigi al fine di mettere in pratica trame politiche, carpire notizie e informazioni utili, ottenere qualche soffiata. Difatti, se da un lato la natura li aveva penalizzati con la “riduzione in scala”, dall’altro gli aveva elargito – quasi fosse un risarcimento –acume e intuito. Per questo erano richiesti come consiglieri e confidenti e gli era accordata la licenza sui generis – in deroga al ferreo cerimoniale – di parlare e sparlare, di toccare argomenti anche rischiosi e delicati, esprimendo il proprio parere, avanzando suggerimenti e indicazioni.
Addirittura esisteva una creazione e vendita di esseri deformati, come veniamo a conoscenza dalle pagine del romanzo di Victor Hugo del 1869: “L’uomo che ride“; e per chi non lo sapesse, è stato il protagonista di questa tragica vicenda a ispirare il personaggio del Joker. L’opera narra la storia di Gwynplaine, che da piccolo viene rapito e consegnato nelle mani dei comprachicos, che ne sfigurano il viso orribilmente.
Chi sono questi comprachicos, o comprapequeños?
Erano una raccapricciante e strana “setta” di nomadi, famosa nel XVII secolo, meno nel XVIII, e ignorata, ma esistente, ancora oggi. I comprachicos commerciavano in bambini. Li compravano e li vendevano. Ma prima di rivenderli ne facevano dei “mostri”. Un bambino diritto non è molto divertente. Un gobbo fa più allegria. Oppure, un bambino sano che chiede l’elemosina ispira meno compassione di uno storpio… da qui tutta un’arte. Era una scienza in tutto e per tutto. Basta immaginare un’ortopedia al contrario.
Tra le varie creazioni in cui i coprachicos si dilettavano c’erano anche i Nani artificiali. E come si rende un bambino un Nano? Facendo di proposito ciò che al giovane Toulouse-Lautrec accadde per sfortuna.
Il pittore Henri de Toulouse-Lautrec, in giovane età, si fratturò le gambe. Queste lesioni non guarirono mai e gli impedirono un armonioso sviluppo scheletrico: le sue gambe smisero infatti di crescere, cosicché da adulto, pur non essendo affetto da vero Nanismo, rimase alto solo 1,52 m, avendo sviluppato un busto normale ma mantenendo le gambe di un bambino.
Ma nonostante le loro ridotte dimensioni, come ci dimostra Lautrec stesso, i Nani, personaggi esistiti o di fantasia non hanno mai smesso di lasciare un segno di sé: Gaio Licinio Calvo – 82-47 a.C. – fu poeta ed efficace oratore, Alipio di Alessandria – IV secolo d.C. – era uno scrittore famoso per la sua scienza e saggezza, le damigelle d’onore che assistono la figlia del re Filippo IV di Spagna e danno il titolo al celebre dipinto di Diego Velázquez: Las Meninas (1656); il mitico Gimli del “Il Signore degli Anelli“, l’attore Peter Dinklage, divenuto famosissimo con l’interpretazione ne “Il Trono di Spade” vestendo i panni di Tyrion Lannister di “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco“; sono protagonisti della canzone – se così si può chiamare – I Nani di Richard Benson; Warwick Davis che ha interpretato il Nano Willow nell’omonimo film fantasy del 1988. Per non parlare delle vicende che li vedono protagonisti in giochi da tavola e videogiochi di ruolo con Dungeons & Dragons.
Dunque ormai giunti nel XXI secolo e visto quante persone affette da nanismo hanno perseguito tranquillamente la loro carriera, possiamo dirci lasciati alle spalle le credenze, gli stereotipi sui Nani e questo strano, sadico desiderio di vederli in situazioni in cui della loro statura se ne fa oggettificazione.
Ma sebbene non siamo più alla corte imperiale cinese del III secolo a.C., se per caso, durante la navigazione in rete, vi imbattete nei più noti canali pornografici, troverete tra i vari fetish proposti un’intera categoria dedicata ai Nani.
Il 26 maggio 2009 debutta in televisione The Little Couple, trasmesso in Italia su Real Time con il titolo: Il nostro piccolo grande amore; un docu-reality. La serie è incentrata nel raccontare le vite di Bill Klein e di Jennifer Arnold, entrambi nati presentando una forma di Nanismo.
Dulcis in fundo, nei primi anni Ottanta in Australia viene inventato, molto probabilmente da 5 amici completamente sbronzi, uno “sport” che consiste nell’afferrare l’amico più minuto – sostituito poi nella “disciplina sportiva” con un Nano – e lanciarlo in avanti cercando di stabilire un nuovo record in distanza.
Il “Lancio del Nano” – in lingua originale “Dwarf Tossing” – al momento è una pratica illegale in soli due stati degli USA: Florida e New York; invece, non esiste alcun vincolo che la impedisca in Canada, Francia e in molti altri paesi. Anzi, vi viene fatto riferimento in più di una pellicola cinematografia: “Il Signore degli Anelli” in primis e, se ben ricordate, Il film “The Wolf of Wall Street” si apre con il protagonista Jordan Belfort – interpretato da Leonardo Di Caprio – che lancia un Nano verso un bersaglio.
Detto questo, non mi resta che salutarvi canticchiando i versi della canzone Un giudice di De André:
“Cosa vuol dire avere un metro e mezzo di statura
Ve lo rivelan gli occhi e le battute della gente…”