Il lato oscuro dei folletti di Babbo Natale
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Con l’avvicinarsi delle festività natalizie sono stata assalita da un dubbio esistenziale: gli aiutanti di Babbo Natale sono elfi, gnomi o Folletti?
Lo so, purtroppo il titolo spoiler a caratteri cubitali rende un po’ vana la suspense.
Quello che però non sapete è tutto ciò che ho scoperto partendo da una semplice ricerca sui Folletti di Babbo Natale…
Potrete pensare che queste creaturine saltellanti siano tutte rose e trifogli – per rimanere in tema – ma vi assicuro che riserbano anche un misterioso e inquietante lato oscuro.
Ma andiamo con ordine, sciogliendo prima di tutto l’enigma di Natale.
Ebbene sì, gli aiutanti del caro Santa Claus sono Folletti – 13 per la precisione – che in islandese vengono chiamati “jólasveinar”, ovvero “i giovani (o amici) del Natale”. La tradizione dell’Islanda vuole che, a partire dal 12 dicembre, uno dopo l’altro scendano dai monti per combinare scherzi agli abitanti, fino a quando l’ultimo di loro non li abbandona il 6 di gennaio dell’anno seguente. E questo loro comportamento ambivalente che oscilla tra la bontà e l’essere dispettosi rimanda alle loro origini; inizialmente, infatti, erano esseri nati per spaventare – figli di Grýla e Leppalúði, due divoratori di bambini – che in seguito sono diventati più benevoli. Anche se, i moderni Folletti di Babbo Natale appaiono per la prima volta nel 1856, quando Louisa May Alcott – l’autrice di Piccole donne, per intenderci – scrisse un libro intitolato “Folletti di Natale”.
Quindi, come possiamo considerare l’indole dei Folletti?
Per prima cosa, bisogna premettere che, come tutte le creature fatate appartenenti al piccolo popolo, sono terribilmente permalosi e vendicativi, con in aggiunta la caratteristica peculiare di essere estremamente dispettosi e burloni. Tuttavia, nonostante i Folletti facciano tutti parte di una stessa specie, ne esistono alcuni dal carattere particolarmente dispettoso, altri giungono persino ad essere crudeli, ma per fortuna ce ne sono anche di gentili e servizievoli. È comunque sempre bene non abbassare mai la guardia quando si ha a che fare con loro.
Inoltre possiamo dire che alcuni Folletti sono contraddistinti da una particolare peculiarità: essere custodi di tesori.
Parecchie specie di Folletti amano l’oro e lo mettono da parte, secolo dopo secolo, fino a che non possiedono un tesoro di gran valore. In Irlanda e in Scozia si dice che lo nascondano in una vecchia pentola e la seppelliscano in luoghi segreti, oppure nel punto in cui termina l’arcobaleno. Altri Folletti, invece, sono semplicemente custodi di tesori altrui; ricordate gli affabilissimi Folletti-banchieri della Gringott in Harry Potter? Ma anche quando non fa la guardia a un tesoro, un Folletto sa sempre dove trovarne uno.
Sempre in Harry Potter troviamo anche un’altra categoria di Folletti, quelli che vivono con una famiglia, servendola con devozione e che probabilmente, nella saga del maghetto più famoso di sempre, sono stati chiamati elfi domestici per non creare fraintendimenti e confusione.
Ebbene sì, Dobby in realtà è un Folletto!! Ne abbiamo la conferma dal fatto che la creatura, vestita di panni sporchi e usurati, smette di servire la famiglia per cui lavorava, nel momento in cui gli viene regalato un indumento nuovo. Infatti, secondo la tradizione, i Folletti servizievoli che aiutano una famiglia, devono sempre essere ricompensati con un po’ di cibo lasciato fuori dalla porta o in un angolo della casa, ma non bisogna mai offrir loro qualcosa di troppo, come vestiti nuovi o un pranzo abbondante. In questo caso, infatti, i Folletti se ne andranno e non torneranno mai più, poiché penseranno che quella è la ricompensa per il servizio svolto, e che quindi loro interpreteranno come un congedo. Chissà quante volte Lucius Malfoy ha maledetto Harry per quel calzino donato con l’inganno!
Altro Folletto servizievole, ma con il classico carattere dispettoso e combinaguai che li connota, è il famosissimo Puck, paggio lesto e burlone di Oberon, re delle fate, nella commedia shakespeariana “Sogno di una notte di mezza estate”. E pensate che in suo onore è stato battezzato con il suo nome un satellite di Urano scoperto nel 1985.
In qualunque paese della Terra vivano, i Folletti si dividono in due grandi categorie: quelli – cui abbiamo accennato poco fa – che abitano nelle case degli uomini e quelli che preferiscono avere una casa propria in mezza alla natura, come il mitico Tonio Cartonio della Melevisione. Moltissimi vivono in gallerie e stanze scavate tra le radici degli alberi, altri occupano le fessure dei tronchi, le spaccature della roccia o del ghiaccio, le grotte e l’interno delle colline; oppure, si sistemano tra i rami o le radici di un cespuglio di biancospino. Infatti, le macchie di biancospini vengono chiamate in Irlanda “i fortini dei Folletti”.
A questo punto non posso non pensare a quanto sia la categoria dei Folletti domestici che quelli “silvani” siano simili a entità sovrannaturali appartenenti alla religione greco-romana. Infatti, gli elfi domestici che proteggono una famiglia vegliando sui suoi membri ricordano i Lari romani: gli spiriti protettori degli antenati defunti che, secondo le tradizioni romane, vigilavano sul buon andamento della famiglia, delle proprietà o delle attività in generale. Mentre i Folletti che vivono immersi nella natura, quasi essenza e personificazione di quest’ultima, tirando brutti scherzi e spaventando gli ignari umani di passaggio in quei luoghi, richiamano fortemente alla memoria i fauni e i satiri dell’antica Grecia. Non sappiamo se tramite i romani sia avvenuta una contaminazione culturale delle popolazioni celtiche, ma di sicuro le caratteristiche comuni condivise con queste “creature” sono innegabili.
Ed ora voglio soffermarmi un momento su un personaggio che sicuramente conoscete tutti. Si dice sia vissuto in Gran Bretagna, essere furbo, burlone, sagace, uno spirito libero che viveva con la sua gente in una nota foresta ed avere un debole per una certa lady Marian…
Chi non conosce Robin Hood?
Ma chi di voi sa che, probabilmente, la leggenda che in seguito è stata allacciata a persone forse realmente esistite, inizialmente aveva come protagonista un Folletto?
Ebbene sì, il nostro Robin Hood, nella leggenda più antica, era un Folletto; e non un Folletto qualsiasi, ma il famosissimo Puck da cui Shakespeare – profondo conoscitore della tradizione folklorica celtica – aveva tratto il suo Folletto di “Sogno di una notte di mezza estate”. Infatti, proprio nella prima scena del secondo atto di quest’opera, così si rivolge una fata al nostro Folletto:
“Tu, se dalle maniere e dal sembiante io non m’inganno, sei quel discolaccio, quel Folletto bugiardo e malizioso che tutti chiamano Robin Birbone. Non sei tu quel bizzoso spiritello che al villaggio spaventa le ragazze, che fa cagliare il latte dentro i secchi, che armeggia tra le pale del mulino, e si rende molesto alle massaie vanificando la loro fatica a sbattere la crema nella zangola? Ed altre volte a far schiumar la birra, o a far smarrire il cammino ai viandanti di notte, e ridere del loro disagio? E t’adoperi, invece, premuroso, ad aiutare nel loro lavoro, ed a portar fortuna a quelli che ti chiaman vezzeggiandoti, “mio caro diavoletto” e “dolce Puck”?”.
Quel “Robin Birbone” con cui la fata si riferisce a Puck, nel testo originale è riportato come Robin Goodfellow – ossia Buondiavolo – divinità boschiva in seguito ridotta a semplice Folletto. E secondo il saggista Robert Graves, che riprende le teorie dell’antropologa Margaret Murray il nome Robin non sarebbe il diminutivo di Robert, ma probabilmente del termine pre-teutonico “robinet” che significa ariete. Dunque in realtà Puck/Robin Hood sarebbe stata un’antica divinità protettrice dei boschi connotata dall’attributo ferino simbolico delle corna di ariete o di cervo – non molto distante dal Dio della Foresta della “Principessa Mononoke” di Hayao Miyazaki – che però con l’avvento del cristianesimo ha subito, come al solito, la trasformazione in entità malvagia, con le corna come aggravante.
La figura di lady Marian, l’innamorata di Robin, sarebbe invece da far risalire complementarmente a quella della Grande Madre, nonché alla sirena (mermaid), ad Afrodite e successivamente alla Madonna, come entità generatrice che si unisce al principio generatore primordiale.
Ma Robin Hood non è l’unico personaggio la cui vera natura è da far risalire alla specie dei Folletti, perché esiste un altro caso più particolare e complesso, ma molto affascinante.
Lo scrittore e drammaturgo scozzese James Matthew Barrie introduce per la prima il personaggio di Peter Pan nel romanzo “The Little White Bird” (L’uccellino bianco) del 1902. L’avventura più nota del personaggio debutta il 27 dicembre 1904, nello spettacolo teatrale “Peter Pan. Il bambino che non voleva crescere”. Questa storia viene poi adattata, ingrandita e trasformata da Barrie in un romanzo pubblicato nel 1911 con il titolo Peter e Wendy, poi Peter Pan e Wendy e infine semplicemente Peter Pan.
Ma chi è veramente Peter Pan? Ufficialmente un bambino… un bambino che però rimarrà sempre tale, che è stato cresciuto dalle fate, che insegue un’ombra che non vuole restargli attaccata, che sa volare, veste di foglie, vive in un luogo incantato assieme a bambini che lui stesso è andato a prelevare dalle loro case.
“Chiedi a tua madre se sapeva dell’esistenza di Peter Pan quando era piccola e lei ti dirà: «Ma certamente, bambino mio». Chiedile ora se cavalcava la capra a quel tempo. E lei risponderà: «Ma che domanda strampalata. Certo che cavalcava la capra!».
Queste sono le primissime parole che Barrie usa per introdurre il suo Peter Pan.
Da questo breve passo è facile mettere assieme i pezzi e vedere come l’autore abbia creato il suo personaggio non attingendo solo dal folklore della sua terra, ma anche da quelle creature della mitologia greca di cui abbiamo parlato poco fa, che più possono assimilarsi alla figura del Folletto: i fauni e i satiri. Prima di tutto si chiama Peter Pan; Pan come la divinità silvestre che è proprio un fauno, mezzo uomo e mezzo capra esso stesso, che come strumento musicale suona la siringa, il flauto da lui stesso creato con delle canne palustri, che lo stesso Peter suona.
Peter Pan non è più un semplice bambino, ormai, come tutte le creature del piccolo popolo, da cui è stato cresciuto, possiede una natura più spirituale che terrena. L’ombra è ciò che identifica gli esseri viventi, Peter fatica per continuare a tenerla con sé. Inoltre gli viene attribuita dall’autore una peculiarità singolare, quella di essere una creatura “psicopompa”, ossia avere il compito di accompagnare le anime dei defunti nell’aldilà, o forse dovremmo dire l’Isola che non c’è…
“Strane cose si dicevano su di lui. Si raccontava che quando i bambini morivano Peter li accompagnava nel primo tratto di strada perché non ne fossero terrorizzati.”
Questo si legge nel primo capitolo di Peter Pan.
È curioso riflettere su un’altra particolare abitudine dei Folletti: quella di rubare i bambini umani dalle culle e sostituirli con uno di loro. Per proteggersi dai furti, vengono citati molti metodi, uno dei quali è quello di acconciare il bambino con un berretto rosso che tradizionalmente è riservato ai bambini nati morti.
Dunque non sembrerebbe così strano che Peter Pan, cresciuto dal popolo fatato voglia condurre nell’Isola che non c’è non solo bambini ormai defunti – come gli attribuisce l’autore – ma anche bambini ancora in vita come Wendy e i suoi fratelli.
Per lo psicoanalista Carl Gustav Jung, gli gnomi e i Folletti sono degli dei nani, simbolo di forza creatrice infantile. Possiedono numerosi tratti psicologici propri dei bambini, si mostrano giocherelloni, buoni o crudeli nella loro incapacità di distinguere il male dal bene; proprio come gli abitanti del piccolo popolo. Secondo la psicologia analitica, queste creature sono una delle manifestazioni simboliche dell’archetipo del bambino, il puer; ovvero uno degli elementi primordiali strutturali della psiche umana, parallelo a quello del bambino interiore. Ma esiste anche una degenerazione di questo archetipo, se perdura, impropriamente, anche in età adulta: la sindrome del puer aeternus, ossia dell’eterno fanciullo; più comunemente nota come “sindrome di Peter Pan”.
Nel 1984 lo psicologo americano di scuola junghiana Dan Kiley ha utilizzato per la prima volta questo termine nel suo libro, intitolato, per l’appunto, “La sindrome di Peter Pan”; traendo spunto, proprio dal celebre “Folletto” dell’opera di Barrie.
Dunque sia Robin Hood che Peter Pan deriverebbero dalla figura archetipica del Folletto…
Ora che ci rifletto, ricordate i cartoni animati che la Disney ha realizzato ispirandosi a questi due personaggi? Il Peter Pan del 1953 e il Robin Hood del 1973? Se ci pensate bene – zampe e coda volpina permettendo – i due protagonisti, nei rispettivi film sono vestiti allo stesso modo; entrambi indossano persino un cappello verde con una piuma rossa!
Possibile che sia solo un caso che la Disney decida di connotare con lo stesso abbigliamento due personaggi tratti dalla figura del Folletto? Coincidenze? Io non credo proprio…
Siamo giunti anche questa volta al termine della nostra avventura nel mondo della fantasia. Ma non disperate, ci torneremo presto grazie ad un Bianconiglio frettoloso o ad un po’ di polvere di stelle, che per altro, è stata aggiunta successivamente nel racconto di Peter Pan per evitare che fomentatissimi bambini, tornati a casa dopo la visione dello spettacolo teatrale, decidessero di “provare a volare”.
Ed ora voglio salutarvi con le parole dell’arguto Folletto combinaguai di “Sogno di una notte di mezza estate”:
“Se l’ombre nostre v’han dato offesa voi fate conto v’abbian colto queste visioni così a sorpresa mentre eravate in preda al sonno. In lieve sonno sopiti ed era ogni visione vaga chimera. Non ci dovete rimproverare se vana e sciocca sembrò la storia, ne andrà dissolta ogni memoria, come di nebbia se il sole appare. Se ci accordate vostra clemenza, gentile pubblico, faremo ammenda. E com’è vero che io son Folletto onesto e semplice, sincero e schietto, se pur ho colpe non mai ho avuto lingua di serpe falsa e forcuta. Pago l’ammenda senza ritardo, o mi direte che son bugiardo. Ora vi auguro sogni felici, se sia ben vero che siam amici, e ad un applauso tutti vi esorto poiché ho promesso che ad ogni torto a voi usato per insipienza, gentile pubblico, faremo ammenda.”