Il misterioso e ululante mondo dei lupi mannari
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Siamo finalmente giunti a una creatura che sicuramente molti di voi hanno atteso con impazienza: il lupo mannaro! O licantropo che dir si voglia…
E sì, sappiate che i due termini sono sinonimi e definiscono la stessa identica creatura, il primo traendo origine dalla lingua latina, mentre il secondo da quella greca.
Quindi, senza indugiare oltre, saltate a bordo, leviamo l’ancora e spieghiamo le vele! Si fa rotta verso il misterioso e ululante mondo dei lupi mannari!
Le origini del lupo mannaro
Come poco fa accennavo il termine “lupo mannaro” deriva dal latino volgare lupus hominarius, cioè “lupo umano”, mentre la parola “licantropo” viene dal greco λύκος (lýkos) “lupo” e ἄνθρωπος (ánthropos), “uomo”.
La prima attestazione della figura del lupo mannaro – intendendo un uomo che si tramuta in lupo – si trova in un poema epico antichissimo: L’epopea di Gilgameš – risalente al 2150-2000 a.C.; – che narra le gesta di Gilgameš, Re sumero di Uruk. Nella tavola VI la dea Ishtar, tentando di sedurre l’eroe, viene rifiutata a causa delle sue numerose tresche, in particolare le viene rinfacciato di aver amato un pastore e di averlo tramutato successivamente in un lupo, venendo cacciato dai suoi stessi aiutanti e inseguito dai suoi cani.
Qualcosa di simile accadrà, per opera di Zeus, a Licaone, re dell’Arcadia, per motivazioni decisamente valide questa volta. Siete curiosi di conoscere questa storia tanto blasfema quanto splatter? Allora cliccate su questo link.
La versione più nota del mito di Licaone è forse quella narrata da Ovidio nel Libro I de Le metamorfosi per bocca di Zeus. Con queste parole l’autore ci racconta il momento della trasformazione del re in lupo:
“Atterrito fugge e raggiunta la campagna silenziosa
lancia ululati, tentando di parlare. La rabbia
gli sale al volto dal profondo e assetato come sempre di sangue
si rivolge contro le greggi e tuttora gode del sangue.
Le vesti si trasformano in pelo, le braccia in zampe:
ed è lupo, ma della forma antica serba tracce.
La canizie è la stessa, uguale la furia del volto,
uguale il lampo degli occhi e l’espressione feroce.”
Compaiono, in queste poche righe, elementi “classici” del licantropo che riempiranno le storie di molti autori successivi e si faranno strada, radicandosi, nella mentalità popolare.
Ma il primo autore greco a parlarci di licantropi è lo storico Erodoto (484-425 a.C.) che, nelle sue Storie narra del popolo dei Neuri:
“C’è motivo di credere che questi uomini siano stregoni. Infatti, gli Sciti e i Greci che abitano in Scizia raccontano che, una volta all’anno, ciascuno dei Neuri diventi un lupo per pochi giorni e, poi, di nuovo, ritorni al suo aspetto normale.”
(Erodoto, Storie, IV, 105.)
Nell’antica Roma anche gli scrittori Virgilio e Petronio nelle loro opere hanno accennato a episodi di licantropia; il primo nell’VIII ecloga delle Bucoliche fa dire al pastore Alfesibeo di aver assistito alla trasformazione del mago Meri in lupo grazie a delle erbe particolari raccolte nel Ponto:
“Con questi vidi spesso Meri trasformarsi in lupo
e celarsi nelle selve, ed evocare le anime dai sepolcri profondi,
e trasportare le messi seminate da un campo all’altro.”
Petronio, invece, nel suo Satyricon, nel capitolo 62.1, durante la cena di Trimalcione, fa narrare al liberto Nicerote un episodio che gli è accaduto:
“Il caso volle che il mio padrone fosse andato a Capua per smerciarvi il meglio delle sue cianfrusaglie. Colgo al volo l’occasione e convinco un nostro ospite ad accompagnarmi fino al quinto miglio. Si trattava di un soldato, forte come l’Orco. Leviamo le chiappe verso il canto del gallo; c’era una luna che sembrava mezzogiorno. Arriviamo in mezzo a un cimitero: il mio uomo si mette a farla tra le tombe, io mi siedo canticchiando e mi metto a contare le lapidi. Poi mi volto verso il mio compare e vedo che quello è lì che si sveste e depone tutti gli abiti sul ciglio della strada. Mi sentivo il cuore in gola; stavo immobile come fossi morto. Quello allora si mise a pisciare tutto intorno ai vestiti e di colpo si trasformò in lupo. Non pensate che stia scherzando; non mentirei per tutto l’oro del mondo. Ma, come stavo dicendo, una volta diventato lupo, incominciò a ululare e sparì nella boscaglia. Io sulle prime non capivo più dove fossi; poi mi avvicinai ai suoi abiti per prenderli; ma quelli erano diventati di pietra. Chi non poté morire di paura se non io stesso? Tuttavia strinsi la mano alla spada, e, abracadabra, andai infilzando le ombre, finché non raggiunsi la tenuta della mia amica. Entrai che parevo uno spettro, a momenti schiattavo, il sudore mi colava tra le chiappe e avevo gli occhi di un morto; ce ne volle per riprendermi. La mia Melissa dapprima si meravigliò perché ero ancora in giro a quell’ora, e fece: “Se arrivavi un po’ prima, almeno ci davi una mano; un lupo si è introdotto nella fattoria e da vero macellaio ci ha sgozzato tutte le bestie. Però non l’ha fatta franca, anche se è riuscito a fuggire, ché un nostro servo gli ha trapassato il collo con la lancia”. A sentir questo, non potei più chiuder occhio e sul far del giorno, via di corsa alla casa del nostro Gaio, come un oste rapinato; e una volta che giunsi in quel posto, dove gli abiti erano diventati pietra, non trovai altro che sangue. Come poi tornai a casa trovai il mio soldato stravaccato sul letto come un bue, mentre il medico gli curava il collo. Compresi che era un lupo mannaro e da allora in poi non sarei più riuscito a dividere il pane con lui, nemmeno se mi avessero ammazzato. Gli altri al riguardo la pensino come vogliono. Quanto a me, se mento, possano i vostri numi tutelari stramaledirmi.”
Ma bisogna specificare che nell’antica Roma il concetto di lupo mannaro aveva delle sostanziali differenze dall’idea che ne abbiamo oggi; il licantropo, infatti, veniva chiamato versipellis, in quanto si riteneva che la pelliccia del lupo rimanesse nascosta all’interno del corpo in forma umana del lupo mannaro in questione, che poi si “rivoltava” assumendo le fattezze bestiali, come un pratico cappotto double fax.
Questo implicava anche una sottintesa volontarietà della trasformazione.
Invece nell’antica Grecia e più a est, la licantropia era considerata un disturbo psichico, una “melanconia cerebrale” come afferma il medico Claudio Galeno (129-201 d.C.) nella sua Ars Medica e, come tale, suscettibile di essere curata tramite rimedi terapeutici:
“Coloro che vengono colti dal morbo chiamato lupino o canino, escono di casa di notte nel mese di febbraio e imitano in tutto i lupi o i cani fino al sorgere del giorno, di preferenza aprono le tombe. Tuttavia si possono riconoscere da questi sintomi: sono pallidi e malaticci d’aspetto, hanno gli occhi secchi e non lacrimano. Hanno anche gli occhi incavati e la lingua arida, e non secernono saliva per nulla. Sono anche assetati e hanno le tibie piagate in modo inguaribile a causa delle continue cadute e dei morsi dei cani; e tali sono i sintomi. È opportuno invero sapere che questo morbo è della specie della melanconia, che si potrà curare, se si inciderà la vena nel periodo dell’accesso e si farà evacuare il sangue fino alla perdita dei sensi, e si nutrirà l’infermo con cibi molto succosi. Ci si può avvalere d’altra parte di bagni d’acqua dolce, quindi il siero di latte per un periodo di tre giorni, parimenti si purgherà con la colloquinta di Rufo o di Archigene o di Giusto, presa ripetutamente ad intervalli. Dopo le purgazioni si può anche usare la teriaca estratta dalle vipere e le altre cose da applicare nella melanconia già in precedenza ricordate.”
Lupo mannaro nel Medioevo
Dal Medioevo fino ad almeno il XVII secolo il lupo mannaro verrà considerato, come potevate già immaginare, uno stregone – tanto per cambiare – che ricorre a patti diabolici per ottenere la capacità di tramutarsi in questa fiera mostruosa e sanguinaria, spesso dotata di poteri malvagi.
D’altra parte, quale poteva essere l’animale incarnazione del male, dopo tutte le bibliche parabole che vedevano i “buoni” rappresentati dalle pecore, se non il lupo?
Naturalmente vi lascio solo immaginare quanti uomini innocenti sono stati condannati al rogo o a ben altri fantasiosi martirii, accusati di essere lupi mannari; perché nessuno ha prestato ascolto a Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) quando nella sua Naturalis Historia affermava:
“Che gli uomini si trasformino in lupi, e poi rientrino di nuovo in sé, è da considerare una bugia senz’altro, a meno di prendere per buone tutte le favole dei secoli passati.”
In questo stesso periodo però si leva una voce lievemente, ma significativamente, discordante dal coro, è la poetessa Maria di Francia che nei suoi Lais – una raccolta di novelle in versi scritte in antico francese – narra di un nobile cavaliere che periodicamente si trasforma in bisclavret, che in anglonormanno significa “lupo parlante”, anche se parlante non è, ma riuscirà comunque a farsi comprendere dal re. E, in questo caso, non solo la trasformazione in lupo non è volontaria, ma il lupo mannaro in questione è la vittima di questa vicenda, mentre i “malvagi” sono ben altri…
Volete saperne di più?
Allora cliccate su questo link per leggere questa bellissima fiaba:
Sebbene il lupo mannaro di questa storia sia un nobile cavaliere, il licantropo più affascinante che la memoria ricordi è… naturalmente non Jacob di Twilight, bensì l’affascinante e aitante ex capitano della guardia Etienne Navarre nel film Lady Hawke…
– profondi sospiri con cuoricini negli occhi annessi –
Invece, molto più a nord, nelle fredde terre dell’Europa settentrionale, ancora sufficientemente barbara e pagana, regnava ben altra concezione degli uomini che divenivano lupi.
Gli Úlfheðnar – letteralmente, “vestiti di lupo” – erano guerrieri votati a Odino, il re degli dei della mitologia norrena. La loro esistenza percorre un filo sottile tra realtà e mitologia. Così come dice il nome, questi leggendari guerrieri si coprivano esclusivamente con la pelle del lupo da loro ucciso per ricevere tale appellativo. Sono diventati famosi grazie al loro impeto guerriero, che per la mitologia, veniva ceduto loro dal dio Odino e dall’animale totemico: il lupo. Questi guerrieri sciamani, prima del combattimento, assumevano: birra, un estratto di amanita muscaria – un fungo velenoso e psicoattivo – e digitale. Questo mix – se non uccideva – dava loro allucinazioni e comportava anche l’aumento della temperatura corporea, del battito cardiaco e dell’adrenalina. Dopo aver assunto queste sostanze, festeggiavano sino allo stremo e da lì si lanciavano in battaglia.
Degli Úlfheðnar si parla nella Saga di Egil il Monco, nella Saga di Hrolf Kraki, nella Saga degli Ynglingar, nella Saga di Grettir e nell’Edda in prosa. Anche lo storico latino Tacito ne fa menzione. Fino alla conversione al cristianesimo gli Úlfheðnar furono truppe d’élite dei re scandinavi. Vennero banditi nel 1015 e i gruppi organizzati scomparvero nel 1100. Furono proprio le storie sugli Úlfheðnar a contribuire alle leggende sui lupi mannari: il vescovo Olaus Magnus parla di “Licantropi del Baltico”.
I lupi mannari propriamente detti compaiono anche nell’epica vichinga, anche nella Saga dei Volsunghi, nel V canto e nell’VIII.
I lupi mannari dal Medioevo all’Illuminismo
Come dicevo poco fa, per tutto il Medioevo fino ad almeno il XVII secolo la maggioranza delle persone continuò a credere all’esistenza dei lupi mannari, con tragiche conseguenze in ambiente “cristiano”: le fonti più prudenti parlano di circa ventimila processi e condanne di licantropi tra il 1300 e il 1600, ma alcuni si sbilanciano fino a suggerire un numero prossimo alle centomila vittime.
Di certo tutti gli accusati di mannarismo erano innocenti da questa imputazione, ma non per questo lo erano dalle altre che gli si muovevano contro. I casi più eclatanti furono quelli di Peter Stubbe e del sarto di Châlons.
Il primo “licantropo”, Peter Stubbe, era un facoltoso cinquantenne tedesco fastidioso e invidiato da molti perché protestante e molto ricco. Non ci è dato sapere quali dei crimini che ha confessato sotto tortura abbia veramente commesso; negli atti risulta aver ammesso di praticare la magia nera da quando aveva dodici anni, motivo per cui era divenuto così ricco. A quanto disse, era stato il diavolo in persona, con cui aveva stretto un patto, a regalargli una cintura magica che gli permetteva di trasformarsi in un mostro dalle sembianze di lupo, “forte e potente, con grandi occhi che brillavano come i fuochi di notte, denti affilati e crudeli, e un corpo enorme sostenuto da zampe robuste”. L’uomo si dichiarò colpevole dell’omicidio di quattordici bambini e due donne incinte, delle quali aveva divorato cuore e feto, e riconobbe anche di aver avuto relazioni incestuose con la figlia e un succubo – un demone dall’aspetto femminile – che il diavolo gli aveva inviato più volte. Uno dei bambini uccisi era suo figlio, confessò di averne mangiato il cervello dopo avergli spaccato la testa con un’ascia.
Per questi crimini, veri oppure no, Peter Stubbe, il 31 ottobre 1589, fu scuoiato con delle tenaglie incandescenti e poi messo sulla ruota, dove gli vennero spezzate le ossa con l’estremità piatta di un’ascia per evitare che tornasse a vendicarsi dall’oltretomba. Infine fu decapitato, e il suo corpo arso sul rogo. La testa venne infilzata su un palo esposto nel centro della città, sopra la ruota su cui si era compiuta l’esecuzione. Sulla ruota svettava anche un simulacro a forma di lupo, in modo estremamente pittoresco.
Il secondo “lupo mannaro”, ricordato solo come il sarto di Châlons – poiché condannato alla damnatio memoriae – era un cittadino francese, che venne catturato nel dicembre del 1598, accusato di aver adescato dozzine di bambini nel suo laboratorio, dove li avrebbe torturati e stuprati per poi tagliar loro la gola. Non contento, il sarto avrebbe fatto a pezzi i corpi e li avrebbe mangiati per cena. Ma pare che quello non fosse l’unico modo che l’uomo impiegava per procacciarsi le sue vittime: di notte, il sarto indossava pelli di lupo e girovagava nei boschi vicini in cerca di bimbi sperduti.
Ed è subito Cappuccetto Rosso…
Per secoli, dunque, si è in presenza di una sorta di isteria collettiva, che è ben testimoniata dagli scritti di due studiosi francesi vissuti in epoche diverse.
Nel 1599 a Parigi Jean Beauvoys de Chauvincourt pubblica il primo trattato sui licantropi dal titolo: Discours de la lycanthropie ovvero “Discorso sulla licantropia” o “Della trasformazione degli uomini in lupi”. Questo trattato aveva l’intento di smitizzare e ridurre a ragionevolezza il popolo dimostrando che i lupi mannari non esistono, sono uomini ridotti a stato di bestie che si sentono lupi.
Jacques Collin de Plancy, scrittore francese dell’Ottocento si dedicò animatamente a studi di spirito volterriano per spazzare la superstizione residua nella gente, e raccolse molte testimonianze dei secoli precedenti nel suo Dictionnaire Infernal, dando un quadro abbastanza preciso di quella che era la situazione in Europa:
“L’imperatore Sigismondo fece discutere in sua presenza, da un conclave di sapienti, la questione dei lupi mannari, e fu unanimemente stabilito che la mostruosa metamorfosi era un fatto accertato e costante. Un malfattore che volesse compiere qualche soperchieria, non aveva che da spacciarsi per Lupo Mannaro per terrorizzare e mettere in fuga chiunque. A tale scopo non aveva bisogno di trasformarsi davanti a tutti in lupo: bastava la fama. Molti delinquenti vennero arrestati come lupi mannari, pur rimanendo sempre con sembianze umane. Pencer, nella seconda metà del Cinquecento, riferisce che in Livonia, sul finire del mese di dicembre, ogni anno si trova qualche sinistro personaggio che intima agli stregoni di trovarsi in un certo luogo: e, se loro si rifiutano, il Diavolo stesso ve li conduce, distribuendo nerbate così bene assestate da lasciare immancabilmente il segno. Il loro capo va avanti per primo, e migliaia di Stregoni vanno dietro di lui; infine attraversano un fiume, varcato il quale si cambiano in lupi e si gettano su uomini e greggi, menando strage.”
Plancy riferisce anche un episodio italiano, la cui fonte prima dice essere un certo Fincel:
“Un giorno venne preso al laccio un lupo mannaro che correva per le vie di Padova; gli si tagliarono le zampe, e il mostro riprese tosto forma d’uomo, ma con piedi e mani mozzati.”
Questa sorta di isteria collettiva porta a episodi terribili e grotteschi insieme: a tal medico Pomponace, sempre secondo Plancy, venne portato un contadino affetto da licantropia; questi gridava ai suoi vicini di fuggire se non volevano essere divorati. Siccome lo sventurato non aveva affatto la forma di lupo, i villici avevano cominciato a scorticarlo per vedere se per caso non avesse il pelo sotto la pelle. Non avendone trovato traccia, lo avevano portato dal medico. Pomponace, con maggior buon senso, stabilì che si trattava di un ipocondriaco.
Come diventare un lupo mannaro
“Anche l’uomo che ha puro il suo cuore
E ogni giorno si raccoglie in preghiera
Può diventar lupo, se fiorisce l’aconito
E la luna piena risplende la sera.”
(Versi dal film L’uomo lupo, versione italiana di The Wolf Man, 1941)
Molti sono i modi per diventare licantropi. L’unico che non figura nella tradizione è il morso: chi viene morso da un lupo mannaro non diventa lupo mannaro esso stesso. Il morso come veicolo dell’infezione mutaforma è una trovata narrativa relativamente moderna, dovuta, quasi certamente, a una contaminazione proveniente dalle storie sul vampirismo.
Per tutto il Medioevo invece, per trasformarsi in lupi il modo più sicuro rimane ricorrere alla magia. Ciò, ovviamente, implica che la trasformazione sia volontaria. Per compierla ci si deve spogliare della propria pelle e indossare una pelle di lupo. Se si è restii ad auto scorticarsi, può bastare indossare una cintura confezionata con la pelle di questo animale. Caratteristica fondamentale perché la pelle possa funzionare è che la testa sia sostanzialmente intatta, se possibile con ancora il cranio inserito a supporto dei denti. La pelle, ovviamente, non può essere quella di un comune lupo, ma deve essere una sorta di veste maledetta. Questa deve essere consegnata da Satana, che volentieri la fornisce a persone esecrabili, oppure, secondo consolidata tradizione, in cambio dell’anima. Un’alternativa all’uso della pelle è il ricorso a unguenti o filtri magici. Uno dei componenti fondamentali è quasi sempre il grasso di lupo. A volte questo viene mescolato con sostanze tossiche (come la belladonna) o dagli effetti psicotropi. Una delle più note ricette di filtro magico prevede di mescolare cicuta, semi di papavero, oppio, zafferano, assafetida, solano, prezzemolo e giusquiamo (meglio del caffè della Peppina!). Parte andava spalmata sul corpo e parte bevuta. Non è quindi improbabile che una persona, se assume un simile intruglio e sopravvive, si comporti come un animale invasato, arrivando ad essere pericoloso. Un ulteriore sistema per trasformarsi è bere “acqua licantropica”, cioè raccolta nelle impronte lasciate da un uomo-lupo.
Il primo autore ad associare la trasformazione alle fasi lunari è stato presumibilmente Gervasio di Tilbury, uno scrittore medievale. L’idea dell’influsso della luna piena viene ripreso e ritenuto fondamentale dalla maggior parte delle leggende. Vi sono tradizioni secondo cui il licantropo si può trasformare anche sotto l’influsso della luna nuova. L’involontarietà della trasformazione non si ricollega solo al fatto che si verifichi in particolari congiunzioni astrali, ma anche alle sue cause: è solitamente dovuta agli effetti di una maledizione o ad altro accidente. Infatti, anche il venir maledetti da una strega, come pure da un santo o da persona venerabile può portare alla licantropia. I motivi per cui si può venire maledetti sono molteplici: eresia, empietà, antropofagia – qui ritorna il mito di Licaone – ma in alcuni casi può bastare essere nati in certi periodi dell’anno: chi nasce la notte di Natale a cavallo della mezzanotte o il giorno dell’Epifania, per esempio, ha buone probabilità di divenire lupo mannaro. Si tratterebbe di una sorta di maledizione divina per punire un gesto quasi blasfemo.
Rimedi più o meno cruenti contro la licantropia
Riprendendo da dove ci siamo appena interrotti nel paragrafo precedente, qualora malauguratamente un figlio nascesse proprio in quelle date nefaste, per salvare il neonato dalla crudele sorte, il padre, utilizzando un ferro rovente, dovrà incidere una croce sotto la pianta di un piede del bambino per i tre Natali successivi.
– Evito di commentare o esprimere la mia opinione al riguardo –
Tra le scarse difese contro questo essere forte e feroce la più efficace pare essere l’argento. Bisogna perciò trafiggere il mannaro con una lama di argento o sparargli con una pallottola dello stesso materiale. La credenza si deve alle proprietà di disinfettante che fin dall’epoca greca erano associate a questo metallo. Secondo alcune credenze, l’arma d’argento deve anche essere stata benedetta, o addirittura fusa da un crocifisso d’argento. Le più complesse sono una versione piemontese e una francese della Saintogne – una provincia francese – secondo quella piemontese, la fusione deve provenire non solo da un crocifisso d’argento benedetto, ma deve essere realizzata la notte di Natale. La versione della Saintogne, invece, non prevede espressamente l’argento, ma le pallottole devono essere benedette in particolari ore della notte in una cappella dedicata a Sant’Uberto. Un’alternativa che sembra funzionare bene, almeno con quelli che usano una pelle di lupo per trasformarsi, è la distruzione della pelle stessa. Opzionalmente, dopo aver ucciso il lupo mannaro, si può procedere al taglio della testa prima del seppellimento.
La soluzione migliore, comunque, rimane il fuoco, da usarsi, preferibilmente, sul licantropo ancora in forma umana.
Ma se piuttosto che uccidere un licantropo molesto vi basta allontanarlo, allora potete mettere dello zolfo sulla soglia di casa oppure scegliere di abitare in una dimora cui si accede salendo dei gradini; sembra infatti che nonostante tutti i super poteri megagalattici, queste creature non siano in grado di salire le scale.
– Momento di silenzio dedicato all’assurdità di questa credenza, nonostante scriva e racconti di creature immaginarie come se fossero reali –
Io mi immagino un enorme, crudele e ferocissimo lupo mannaro tutto muscoli, pelliccia e zanne scoperte…che fissa tra il frustrato e lo sconsolato una scalinata.
Eee…va bene…
Infine, buona efficacia ha anche l’aconito, detto anche – per l’appunto – strozza lupo.
Se invece, premettendo che il lupo mannaro in questione subisca questa trasformazione a causa di una qualche maledizione, il vostro obiettivo non è abbatterlo o allontanarlo, ma curarlo, pare che un rimedio efficace sia colpirlo in testa in modo da far zampillare fuori un quantitativo sufficiente di “sangue malato”; invece, il lupo mannaro potrà arrestare la trasformazione se gli si lascia a disposizione un recipiente con acqua pura nel quale si possa bagnare. In alternativa, si può indurre il licantropo a riassumere la forma umana spillandogli tre gocce di sangue dalla fronte o facendolo ferire da un suo familiare che brandisce un forcone, oppure ancora colpendolo con una chiave priva di buchi.
Lupi mannari in letteratura cinematografia anime e fumetti
“I sonnambuli diventano lupi, licantropi, dove non si distingue più l’uomo dalla belva. […] Escono la notte – mi raccontava Giulia – e sono ancora uomini, ma poi diventano lupi e si radunano tutti insieme, con i veri lupi, attorno alla fontana. Bisogna star molto attenti quando ritornano a casa. Quando battono all’uscio la prima volta, la loro moglie non deve aprire. Se aprisse vedrebbe il marito ancora tutto lupo, e quello la divorerebbe, e fuggirebbe per sempre nel bosco. Quando battono per la seconda volta, ancora la donna non deve aprire: lo vedrebbe con il corpo fatto già di uomo, ma con la testa di lupo. Soltanto quando battono all’uscio per la terza volta, si aprirà: perché allora si sono del tutto trasformati, ed è scomparso il lupo e riapparso l’uomo di prima. Non bisogna mai aprire la porta prima che abbiano perso anche lo sguardo feroce del lupo. E anche la memoria di essere state bestie. Poi, quelli non si ricordano più di nulla.”
(Carlo Levi, “Cristo si è fermato ad Eboli”)
Mi sembrava poetico e fiabesco iniziare questo paragrafo con una simile citazione.
Inutile dirvi che sul podio dell’horror, dopo il vampiro, la medaglia… d’argento – sto ridendo come una pazza per questa battuta tristissima – va proprio al lupo mannaro; Jacob di “Twilight” ne sa qualcosa…
Naturalmente non mi dilungherò sulla bibliografia o la cinematografia che vede questa creatura presente o protagonista, ma sappiate che è veramente infinita, come è anche consistente in fumetti, manga e anime.
L’unica informazione che desidero darvi nel dettaglio è riferita alla prima pellicola che proiettò la storia di un lupo mannaro sul grande schermo. Avvenne nel 1913, l’autore era Henry MacRae e la sua opera si intitolava “The Werewolf”, un cortometraggio muto considerato un film perduto poiché tutte le stampe si suppone siano andate distrutte in un incendio nel 1924.
Il sex appeal del lupo mannaro
Ebbene sì, il lupo mannaro conquista con il suo fascino ferino e ancestrale: bello – se vi piace il pelo – ma soprattutto maledetto, il licantropo, in particolar modo negli ultimi decenni, fa strage di cuori. Inoltre è stato accentuato sempre più il suo formidabile appetito, il cui concetto è stato ampliato a ben altre sfere… ma gli antichi romani erano già avanti e chiamavano “lupanari” i bordelli e “lupe” le graziose signorine che ivi lavoravano, come sono donne-lupo anche le prostitute di “Vodka e Inferno” di Penelope delle Colonne, e allude al medesimo significato la canzone “She Wolf (Falling To Pieces)” di David Guetta. Pura sensualità scevra da simili allusioni è invece la licantropia interpretata da Shakira in “She Wolf”; dunque, il mannarismo emana effluvi di feromoni a prescindere dal genere del licantropo.
A proposito di avere come partner un lupo mannaro, se volete trascorrere qualche momento spensierato e divertente, vi consigli il fumetto “Zanne” di Sarah Andersen.
I lupi mannari nella realtà
Dunque si giunge a dare la risposta alla fatidica domanda: ma quindi i lupi mannari esistono oppure no?
E la risposta è… sì!
Ma divergono dalle descrizioni che ne fanno i libri e le leggende e, soprattutto, nella loro “licantropia” non vi è nulla di magico, paranormale o diabolico.
Prima di tutto bisogna sapere che esistono diversi tipi di uomini-lupo e che sono diverse le cause per cui gli viene conferita tale nomea.
La licantropia clinica, è una rara condizione mentale, con presenza di delirio di trasformazione somatica, che induce chi ne è affetto a credere di potersi trasformare in un animale. La sindrome costringe chi ne soffre a voler assomigliare ad un animale, spesso ad un lupo, nell’aspetto, ma principalmente nel comportamento. Negli stati più gravi i malati desiderano cibarsi di carne cruda, a volte umana, e di sangue. Il nome di questa sindrome è connesso con la condizione mitologica definita come licantropia, in cui la persona che ne è affetta si trasforma in un lupo.
Questa patologia fa parte della branca delle teriantropie (di cui rappresenta certamente la variante più diffusa) ovvero una psicopatia che spinge chi ne soffre a credersi un animale di una specie in particolare o meno (sono numerosi infatti i casi in cui i teriantropi non sono coscienti di una specifica identità animale ma si credono semplicemente degli animali-umani).
Proprio Roma può vantare un celebre caso di licantropia clinica che movimentò le notti del centro storico negli anni Quaranta. Ne parlò ad esempio l’“Unità”, che sul quotidiano del 24 gennaio 1949 pubblicava un trafiletto intitolato: Riappare a Roma il lupo mannaro. “Riappare” sì, perché il primo avvistamento della crreatura si registrò tre anni prima, nel 1946, durante una notte estiva di plenilunio. Le cronache dell’epoca raccontano di un uomo che raspava con forza il terreno, ululava alla luna e si nascondeva nei cespugli, pronto a balzare addosso agli ignari passanti. Prima che arrivasse la polizia, l’uomo lupo riuscì a raggiungere il lungotevere dileguandosi.
Nel novembre del 1947 si interessò al caso anche il fu “Corriere d’Informazione”, riportando le testimonianze di alcuni passanti che giurarono di aver visto nei giardini di Villa Borghese un uomo con il volto nascosto da un berretto e con il corpo avvolto in un pastrano, che si abbeverava alle fontane, ringhiava e minacciava chiunque provasse ad avvicinarlo. Finalmente, nel 1949 la svolta. Richiamate da alcuni turisti, le forze dell’ordine si ritrovarono di fronte a un uomo visibilmente alterato. Quando lo identificarono, trovarono scritte sulla carta d’identità generalità tanto comuni da sembrare quasi beffarde: il licantropo si chiamava Pasquale Rossi. Portato in caserma, il Rossi dichiarò che i suoi strani comportamenti avvenivano solo quando la luna era piena e ne descrisse tutti i sintomi: i peli e i capelli gli si rizzavano, un calore intenso lo pervadeva e una forza inspiegabile gli si spandeva in tutto il corpo.
Il Rossi finì prima nel carcere di Regina Coeli e poi in manicomio. Rilasciato, chiese una pensione d’invalidità per licantropia che, stranamente, non gli venne mai concessa.
Altri casi famosi sono quelli di Iolanda Pascucci, “la lupa di Posillipo” e Rosalba Guizza.
Invece una malattia che spesso, in passato, per la sua sintomatologia è stata interpretata come licantropia è la rabbia. Il Rabies lyssavirus – per gli amici, virus della rabbia – viene trasmesso abitualmente all’uomo attraverso il morso di un animale infetto. Durante l’incubazione si possono avere sintomi con sensazione di dolore alla ferita, senso di inquietudine, agitazione motoria, allucinazioni, e idrofobia ossia avversione all’acqua dovuta a dolorose contrazioni spasmodiche della laringe e della faringe – che fa produrre al malato versi di agonia molto simili a degli ululati – si ha poi sonnolenza, febbre, collasso, e morte.
Un’altra patologia che è stata in passato identificata con il morbo lupino è…. l’ipertricosi, chiamata anche, per l’appunto, “sindrome del lupo mannaro”.
Cos’è? Semplice, un’alterazione genetica che vi fa assomigliare a un soffice e puccioso peluche. Naturalmente la vita per le persone che ne sono affette non è affatto semplice, sia dal punto di vista estetico, poiché non è facile accettare il proprio aspetto quando si è completamente ricoperti di peli, sia dal punto di vista fisico, perché i peli costituiscono un ostacolo non solo per mangiare, ma anche per respirare.
Infine c’è un ultimo tipo di uomini – o donne – lupo: coloro che per vari e bizzarri accadimenti si sono trovati ad essere allevati e cresciuti dai lupi che, anche nelle fiabe e nelle leggende, pare siano i genitori animali più quotati in assoluto. Si pensi a Romolo e Remo, al piccolo Mowgli de “Il libro della giungla, oppure a Diana e suo fratello gemello Apollo, che vennero partoriti dalla madre Latona dopo che ebbe assunto le sembianze di lupa; inoltre, alcune leggende narrano che il grande Gengis kan fosse nato da un lupo azzurro…
Più recentemente, si può trovare un esempio letterario che riporta questo topos in “Sopravvivere coi lupi” un libro scritto da Misha Defonseca, pseudonimo di Monique De Wael. Dal romanzo è stato tratto nel 2007 l’omonimo film, per la regia e la sceneggiatura di Véra Belmont.
Ma come in tutte le leggende e racconti di fantasia che si rispettino, vi si cela anche un fondo di verità…
Vere sono le vicende di Marcos Rodríguez Pantoja e Oxana Malaya che in luoghi ed epoche diversi vissero per anni con branchi di lupi che, in un caso e nell’altro, si rivelarono genitori migliori di quelli biologici.
Se non mi credete leggete le loro storie, hanno dell’incredibile…
Conclusioni
Anche questa volta siamo giunti al termine del nostro viaggio nella terra delle Creature Fantastiche.
È curioso come la fantasia dell’uomo abbia voluto fondere la natura umana proprio con quella del lupo, un animale che evidentemente ha sempre considerato sublime nel senso ottocentesco del termine, in quanto lo ha sempre tanto terrorizzato quanto affascinato. Per questo desidero concludere questa avventura fatta di lettere e fantasia con una citazione dello scrittore Farley McGill Mowat:
Abbiamo condannato il lupo non per quello che è, ma per quello che abbiamo deliberatamente ed erroneamente percepito che fosse – l’immagine mitizzata di uno spietato assassino selvaggio – che, in realtà, non è altro che l’immagine riflessa di noi stessi.
Pensate a “The Wolf of Wall Street” e mi darete ragione.