La Llorona, la cupa leggenda di “colei che piange”
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Quest’oggi il nostro viaggio nel mondo della fantasia tra miti e leggende, ci porta in Sud America, per scoprire una delle creature più fosche che il folklore abbia creato: la Llorona, “colei che piange”.
Sono molte le storie che aleggiano attorno a questa figura… dea, fantasma, donna. demone. Chi è la Llorona?
Si potrebbe dire che sia legata all’immagine ancestrale della Grande Madre: colei che dà la vita, colei che ha il potere di toglierla. Una figura che incarna, in un certo senso, il cerchio della vita; ma anche molto di più. È una creatura che affonda la sua genesi nei recessi del subconscio, che camminano su di un filo, in bilico tra simbolismo, realtà e leggenda.
La Llorona trae le sue origini più antiche dalla dea azteca Cihuacoatl che, per questo popolo, era la divinità della terra e della fertilità. Si diceva fosse stata “la prima dea che partorì” e inflisse – molto gentilmente – il travaglio della nascita alle partorienti, in omaggio alla dea Morte. È anche considerata una “madre modello”; infatti, dopo aver dato alla luce il dio Mixcoatl, lo avrebbe abbandonato ad un crocevia e, secondo la tradizione, ritornerebbe spesso nello stesso punto a piangere per il figlio perduto ma, al suo posto, troverebbe un coltello sacrificale.
Era ritenuta anche la patrona delle Cihuatateo – le donne morte di parto – che ritornavano sulla terra in alcuni giorni loro dedicati, urlando nella notte per spaventare la gente all’incrocio delle strade, ed erano fatali per i bambini.
Nell’ “Historia general de las cosas de la Nueva Espagna” frate Bernardino de Sahagún riporta le testimonianze degli informatori indigeni di Tlatelolco, raccolte fra il 1550 e il 1555:
“Ove si dice come siano apparsi, come siano stati scorti i segni, i presagi di sventura, prima che gli Spagnoli approdassero qui, in questa terra, prima che ne avessero notizia i suoi abitanti. […] Un sesto presagio di sventura. Sovente s’udiva una donna che vagava piangendo, che vagava gemendo, di notte senza posa gemeva, vagava gridando: «Figlioli diletti, ecco che è giunto il tempo della nostra partenza!» Di tempo in tempo diceva: «Figlioli miei cari, dove mai vi condurrò?»”
Gli aztechi credevano che la voce appartenesse proprio alla dea Cihuacoatl, che emergendo dalle acque del lago Texcoco, piangeva i suoi “figli” per il destino che di lì a poco li avrebbe annientati, ad opera dei conquistadores.
Con il sopraggiungere di questi ultimi la leggenda si evolve e viene narrato che la Llorona era un’indigena delle Americhe innamorata di un hidalgo (un nobile spagnolo del periodo coloniale). Con questi aveva avuto due figli, pur non essendo sposati. Lo spagnolo evitava di formalizzare l’unione ma andava spesso a visitarla. Dopo un po’ di tempo, decise di tornare in Spagna poiché i suoi genitori gli avevano procurato un matrimonio degno del suo rango. Quando andò a comunicarle la sua decisione e dirle addio, la donna ne rimase sconvolta e, dal dolore, uscì di senno a tal punto, che prese i figli e li uccise annegandoli nel fiume. Quando si rese conto di quello che aveva fatto, si suicidò, gettandosi nelle acque dello stesso fiume. Da allora, tutte le notti si aggira lungo gli argini del corso d’acqua, urlando il suo dolore, emettendo versi strazianti e invocando i figli.
Per questo la Llorona è assurta a simbolo della maternità distrutta; ma rispecchia anche il trauma della perdita delle origini dei popoli indigeni, la sottrazione dell’identità ad opera dei colonizzatori. È descritta come una donna vestita di bianco, dai lunghi capelli neri, ma senza volto, o con il volto coperto, a rappresentare questa privazione, che descrive la fine di un popolo e la perdita delle sue radici. Ma allo stesso tempo, esprime anche la struggente incapacità di dimenticare.
Si dice che grandi sciagure accadranno allo sfortunato che si imbatterà nella Llorona durante il suo cammino, perché è considerata una specie di potentissimo gatto nero che ti attraversa la strada, ma con tutta la melodiosità di una Banshee – se non sapete chi è costei, cliccate sulla parola per scoprirlo! – e può persino portare alla morte.
È tuttavia necessario fare una piccola distinzione tra le varie versioni e sfumature della leggenda. Perché se è vero che nella maggior parte di esse la Llorona uccide i propri figli per punire il marito – Medea style – lasciandoli annegare, e poi se ne pente, e una volta morta, vaga per l’eternità lungo le rive dei fiumi alla loro ricerca, in altre versioni, la donna, dopo aver compiuto il delitto, è come se lo rimuovesse e vagasse alla ricerca dei suoi bambini che “qualcun altro” ha ucciso, o che non sa che fine abbiano fatto.
Ovviamente è tutto frutto della fervida fantasia popolare che dà vita alla leggenda.
Come può una madre uccidere i propri figli e non ricordarselo?
Oppure… può accadere.
Forse il comportamento di Annamaria Franzoni nel delitto di Cogne è in grado di far luce su questo incredibile quanto possibile fenomeno.
Ma per comprenderlo, dobbiamo fare un salto nell’Ottocento, agli albori della psicanalisi, passeggiando a braccetto tra i suoi “padri”: Pierre Janet e Sigmund Freud.
Il primo dei due psicologi, sebbene meno conosciuto, è quello cui Freud deve le basi di gran parte delle sue teorie; infatti, è proprio dal concetto di “dissociazione” di Janet che Freud elaborò la sua nozione di “rimozione”. Che altro non è se non un meccanismo di difesa mediante il quale la mente allontana dalla coscienza traumi, desideri, pensieri o residui mnemonici considerati inaccettabili e intollerabili dall’“Io”. Sigmund Freud evidenziò l’importanza dell’isolare aspetti disturbanti e conflittuali della realtà e sottrarli alla consapevolezza, consegnandoli a quel luogo sotterraneo della psiche che egli sistematizzò come “Inconscio”.
Ed ecco qui svelato il mistero della nostra Llorona smemorella.
Ora però cerchiamo di alleggerire quest’atmosfera un tantino tetra con un po’ di cultura pop sulla Llorona.
“La Llorona – Le Lacrime del Male”, film di Michael Chaves – uscito nelle sale nel 2019 – è solo l’ultima di ben nove pellicole a lei dedicate, senza contare le citazioni della sua leggenda nelle serie tv “Supernatural” e “Grimm”. Per non parlare della sua notorietà in Messico, dove è praticamente considerata patrimonio e simbolo dell’identità nazionale. Infatti, è messicano l’unico film d’animazione che la vede protagonista – sì, se ve lo state chiedendo è destinato proprio ad un pubblico di bambini, per la serie: “i traumi dell’infanzia, quelli belli” – uscito nel 2011 e diretto da Alberto Rodríguez.
Alla Llorona, ovviamente, è stata anche dedicata una canzone, di cui se ne conoscono molte versioni. Le sue origini possono essere fatte risalire al XIX secolo; il tratto comune a tutte le varianti è l’invocazione di “colei che piange” come interlocutrice o testimone di pene amorose ed esistenziali di cui, a volte, ne è anche l’oggetto, desiderato, ma irraggiungibile.
E poiché la Llorona è come il prezzemolo, non hanno potuto non inserire la sua canzone in un film e in un cartone animato che possono essere considerate due “summe” della cultura messicana: “Frida” e “Coco”.
Nel film “Frida” – ispirato alla vita della pittrice Frida Kahlo – la canzone è presente in ben due versioni: la prima, è cantata da Chavela Vargas, che compare nel film nei panni di un fantasma; la seconda è quella di Lila Downs, a sua volta presente nel film nei panni della cantante di una piccola orchestra mariachi.
Nel cartone animato “Coco” – della Disney Pixar – a cantarla è Imelda – la trisavola del protagonista – che fino all’incredibile rivelazione finale, pensa di essere stata – proprio come la Llorona – abbandonata dal marito per proseguire la sua carriera di musicista.
Anche questa volta siamo giunti al termine del nostro viaggio nel mondo del mito, delle leggende e della fantasia, sebbene questa volta sia stato un po’ noir e un po’ horror.
Ma rincuoratevi, non siete tra quei fortunati bambini messicani che hanno avuto l’infanzia rovinata dal cartone animato della Llorona!