La porta e i suoi mille significati
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Porta: vano aperto in un muro o altra struttura per crearvi un passaggio costituito da un elemento orizzontale (soglia) posto a livello del pavimento, dall’imbotte, costituito dallo spessore del muro, e dagli stipiti, elementi portanti verticali posti lateralmente, che possono essere sormontati da un architrave, da un arco o da una piattabanda.
Questa è la definizione che il vocabolario Treccani dà del termine “porta”.
Ma, ovviamente, la porta non è solo questo.
È incredibile come un semplice diaframma mobile, che si frappone fra uno spazio e un altro, possa essere così ricco di significati; infatti, la porta può essere simbolo e strumento di accesso, elezione, protezione ed esclusione. Ma, come sempre, incamminiamoci con calma in questo viaggio che ci condurrà di porta in porta.
Porta come strumento e simbolo di esclusione e protezione
Una porta può essere considerata un ostacolo che non permette di accedere a un determinato ambiente che, a volte, ci viene proibito – come nella fiaba di “Barbablù” – per proteggerci; in questo caso la porta ci preserva da qualcosa di potenzialmente pericoloso che si trova rinchiuso oltre quella soglia. Quante volte abbiamo sentito parlare, soprattutto nelle leggende del folclore nipponico, di demoni o spiriti “sigillati”?
Qualora voleste approfondire l’argomento, vi consiglio il manga “Gli spiriti di casa Momochi”.
Ma in altri casi il punto di vista è ribaltato e la porta ci tiene al sicuro da minacce che provengono dall’esterno. Ad esempio si pensi ai vampiri, che hanno bisogno di un permesso esplicito per poter varcare la soglia di una casa – a tal proposito vi consiglio caldamente il libro “Lasciami entrare” di John Ajvide Lindqvist – ma la porta è un elemento fondamentale di protezione anche nelle favole de “Il lupo e i sette capretti” e “I tre porcellini”.
Porta come strumento e simbolo di esclusione ed elezione
A volte, invece, le porte introducono a segreti, conoscenze, misteri, altri mondi e dimensioni cui però l’accesso è permesso ad alcuni e precluso ad altri.
E qui entrano in gioco vari e diversi modi affinché la porta non possa essere varcata da tutti.
Le parole chiave
“Ennyn Durin Aran Moria. Pedo Mellon a Minno. Im Narvi hain echant. Celebrimbor o Eregion teithant i thiw hin.”
Per chi non conosce l’elfico:
“Le Porte di Durin, Signore di Moria. Dite Amici ed Entrate. Io, Narvi, le feci, Celebrimbor dell’Agrifogliere tracciò questi segni.”
Non potevo iniziare questo paragrafo non citando “Il signore degli anelli” di Tolkien. Quanto appena riportato è ciò che si legge sulle Porte di Durin, note anche come Cancelli Occidentali di Moria, che la Compagnia deve varcare, ma che sono ermeticamente chiuse. Gandalf riuscirà a farle aprire, dopo qualche errata valutazione, pronunciando la parola “mellon”, che in elfico significa “amico”.
Anche nella saga di Harry Potter, della Rowling, troviamo più di una volta porte che si aprono con una parola chiave – senza considerare lo stesso incantesimo “alohomora”, che ha proprio la funzione di aprire porte e molto altro – ne sono un esempio la porta della camera dei segreti e quella del quartier generale dell’Ordine della fenice.
Nel mondo delle fiabe le parole chiave più famose per aprire una porta sono, senza dubbio “Apriti sesamo”, nel racconto di “Ali Babà e i quaranta ladroni”; mentre, nell’ambito cinematografico la parola d’ordine più celebre, che schiuse al protagonista le porte di un mondo onirico fatto di mistero e seduzione, è di certo “Fidelio” nel film “Eyes wide shut” di Kubrik.
Guardiani delle porte umani, divini o mostruosi
Nell’antica Grecia le soglie erano protette da Hermes, dio del commercio, degli inganni e dei ladri, ma anche e soprattutto dio dei cambiamenti, nonché messaggero degli dei. La sua immagine veniva posta sulla porta delle case, in modo da esserne protetta, presso l’entrata della città o sulle tombe, che simboleggiavano le “porte” di accesso al mondo dei morti; infatti, poiché Hermes era anche il dio dei cambiamenti – e la morte è sempre stata considerata un grande cambiamento – era ritenuto una divinità psicopompa, ossia, gli era attribuito il compito di condurre le anime dei defunti nell’aldilà.
Nell’antica Roma, invece, la divinità protettrice delle porte, dei passaggi e dei cambiamenti era Giano, il dio portinaio che, per l’appunto, aveva come attributo una chiave.
Nell’antica Cina la porta si configura come una frontiera sacra: ogni abitazione è protetta dagli “dei delle porte” che hanno il compito di allontanare gli spiriti malvagi. Si tratta di guerrieri dotati di arco e frecce dipinti sui battenti delle porte. Dovevano impedire alle anime dei defunti di oltrepassare la “porta degli Spiriti” per tornare sulla terra e controllare che i viventi non fossero stati trascinati per errore nell’Aldilà. Gli dei delle porte più famosi si chiamano Yule e Sen-Tsui.
Nel Cristianesimo abbiamo una figura di grande rilievo, anche se presiede all’accesso di un unico luogo.
Avete già capito di chi sto parlando?
“Io sono la porta: chi entra attraverso me sarà salvo.”
(Giovanni 10, 9)
Più volte, nella Bibbia, si parla dell’accesso, negato o concesso al Regno dei Cieli. E se c’è una porta per entrare in Paradiso, non può non esserci un portinaio…
“Ed io dico a te, che tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno mai prevarranno contro di lei. E a te darò le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa avrai legata sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualsiasi cosa avrai sciolta sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli.”
(Luca 16, 18-19)
Non per nulla San Pietro viene sempre rappresentato con due chiavi, una d’oro e una d’argento.
Rimanendo ancora nell’universo cristiano, facciamo un momento un salto nella “Divina Commedia” di Dante, precisamente all’ingresso del Purgatorio; qui troviamo un angelo guardiano, vestito di grigio, che permetterà a Virgilio e Dante di varcare la soglia dopo aver inciso, sulla fronte di quest’ultimo, sette P con la punta della sua spada:
“Sovra questo tenea ambo le piante
l’angel di Dio, sedendo in su la soglia
che mi sembiava pietra di diamante.
Per li tre gradi sù di buona voglia
mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi
umilemente che ‘l serrame scioglia».
Divoto mi gittai a’ santi piedi;
misericordia chiesi e ch’el m’aprisse,
ma tre volte nel petto pria mi diedi.
Sette P ne la fronte mi descrisse
col punton de la spada, e «Fa che lavi,
quando se’ dentro, queste piaghe», disse.”
(Dante, “Divina Commedia”, “Purgatorio”, IX Canto, 103-114)
Un altro essere divino che vigila sull’accesso a un “mondo celeste” è Heimdallr, la sentinella degli dei nella mitologia norrena, che veglia giorno e notte sui cancelli di Ásgarðr, la dimora degli dei.
Ma non tutti i guardiani hanno aspetto umano.
Sulle porte di accesso alle città, i Babilonesi raffiguravano lamassu – mostri alati dal corpo di toro o leone con cinque zampe e testa umana – grifoni, draghi e leoni; questi ultimi due li ritroviamo anche a guardia dell’ingresso di templi e dimore regali in Cina. Inoltre, non possiamo dimenticare il mostruoso cane a tre teste Cerbero, messo a guardia dell’Ade nella mitologia greca. Infine, ricordiamo anche i maestosi leoni stilofori posti all’ingresso delle cattedrali romaniche di tutta Europa.
Le porte animate
In alcuni casi avviene una fusione tra il guardiano della porta e la porta stessa, che quindi risulta animata in vari modi. Vado a spiegarmi meglio.
Un esempio di porta animata è di certo l’ingresso alla caverna delle meraviglie nel cartone animato di “Aladdin” della Disney, la quale affermava che avrebbe permesso di varcare la sua soglia soltanto a un “diamante allo stato grezzo”.
Poi, rimanendo nel mondo Disney, nel cartone “Alice nel paese delle meraviglie”, c’è la simpatica porta che dà accesso al mondo delle meraviglie.
Un’altra porta animata, nel suo senso più ampio, potrebbe essere considerata il mostruoso portone di Palazzo Zuccari a Roma, che ha le sembianze di un orribile demone con la bocca spalancata.
Inoltre, desidero citare come una tipologia di porte animate anche le “porte parlanti”, molte delle quali sono i portali delle cattedrali, con le loro tonanti scritte in latino, che lanciano moniti al fedele che si appressa a varcarne la soglia.
Sul portale della Cattedrale di Modena, ad esempio, si legge: “Hinc vos per gentes cum corpore flectite mentes” (voi che passate da qui piegate col corpo anche la mente).
Ma la porta parlante forse più famosa del mondo si trova nella “Divina Commedia” di Dante: sono i cancelli dell’Inferno, alla cui sommità svettano queste parole, oscure quanto rassicuranti:
“Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina podestate,
la somma sapïenza e ‘l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”.
(Dante, “Divina Commedia”, “Inferno”, Canto III, 1-9)
Porte particolari o di determinate dimensioni
Alcune porte sono davvero singolari per come sono state concepite e questo è dovuto al fatto che l’accesso non sia permesso a tutti o che, per varcarne la soglia, sia necessario un determinato atteggiamento fisico, ma soprattutto spirituale.
Per quanto riguarda il primo tipo cui accennavo, mi riferisco alle cosiddette “false porte”; legate principalmente alla realtà funeraria dell’antico Egitto – ma che si ritroveranno anche con gli Etruschi e poi con i Romani – come elemento imprescindibile delle sepolture, inizialmente esclusiva di quelle regali, poi anche dei ceti più abbienti. Questa “apertura cieca” nella parete, costituiva il punto di intersezione effettivo tra la realtà dei vivi e l’aldilà. Da questa porta, infatti, l’anima del defunto poteva accedere al tavolo delle offerte, posizionato proprio di fronte.
Per un certo periodo, anche nella residenza reale venne realizzata una falsa porta per permettere all’anima del faraone deceduto di accedere di nuovo al palazzo dopo la morte
In modo simile troviamo nella Sardegna preistorica delle false porte nelle mura di tombe e di edifici megalitici, come nelle Domus de Janas, le cosiddette “case delle fate”, e in alcune “tombe dei giganti”.
Per quanto riguarda la seconda categoria, alludo a quelle porte fisiche o simboliche piccole o strette; come quella del Regno dei Cieli:
“Entrate per la porta piccola! Perché grande è la porta e larga la strada che conduce alla morte, e sono molti quelli che ci entrano. Al contrario, piccola è la porta e stretta è la via che conduce alla vita, e sono pochi quelli che la trovano.”
(Matteo 7, 13-14)
Un’altra porta di ridotte dimensioni è quella che conduce Alice nel Paese delle Meraviglie, ma anche quelle delle carceri di Castel Sant’Angelo a Roma, quella per accedere a un tempio massonico o quella che introduce nello studio di Gabriele D’Annunzio nel Vittoriale.
La necessità di farsi piccoli, rimpicciolirsi o inchinarsi per oltrepassare la soglia di queste porte non è tanto una condizione fisica quanto dell’anima, dello spirito o dell’intelletto.
Dunque, abbiamo detto che tutti questi guardiani e sistemi assicurano che l’accesso sia selettivo o ci si giunga con una determinata predisposizione d’animo. Questo perché – tralasciando le carceri di Castel Sant’Angelo e forse lo studio di D’Annunzio – si viene introdotti a qualcosa di estremamente speciale ed esclusivo, solitamente costituito da un sapere trascendente, superiore. Nella saga di Harry Potter, per esempio, si esplicita nel raggiungimento della pietra filosofale, nell’accesso alla camera dei segreti o al quartier generale dell’Ordine della Fenice. Agli albori del Cristianesimo, coloro che intraprendevano il cammino per diventare cristiani, ma non erano ancora stati battezzati, dovevano uscire dal luogo in cui si teneva la celebrazione durante il rito dell’Eucarestia. Inoltre in moltissime religioni che hanno, o hanno avuto, templi come edifici di culto – come gli antichi Ebrei, Greci o Romani – l’accesso alla cella, il suo luogo più interno e sacro, è ed è stato solitamente consentito solo ai sacerdoti.
Una porta per viaggiare e collegare
Una porta può anche condurre non solo in un altro luogo, ma persino in un’altra realtà, un altro mondo, un’altra dimensione o in un’altra epoca; come accade nella saga “Le cronache di Narnia” di Clive Staples Lewis, nel libro “Coraline” di Neil Gaiman, nel cartone Disney “Monster & co.” – diretto da Pete Docter, Lee Unkrich e David Silverman – “Alice nel Paese delle Meraviglie” di Carroll, il cartone Disney “Nightmare before Christmas” – diretto da Henry Selick – il film “Stargate” – Roland Emmerich – e la serie tv “La porta Rossa”, diretta da Carmine Elia.
Quest’ultima identifica con una porta rossa il passaggio che conduce un’anima nell’aldilà e, in tutto il mondo esistono diverse “porte” che vengono identificate come passaggi per l’aldilà: la porta Aramu Muru in Perù, vicino al lago Titicaca, il sito di Stonehenge in Inghilterra, la porta del Sole nel sito archeologico di Tiahuanaco in Bolivia, la misteriosa incisione Sakwala Chakraya nell’antica città di Anuradhapura nello Sri Lanka, l’Arch Rock nell’Isola di Mackinac Island in Michigan e molte altre.
Spesso queste costruzioni hanno particolari orientamenti o incisioni legati a fenomeni astronomici; in particolar modo i solstizi.
A tal proposito, avete mai sentito parlare delle… “porte solstiziali”?
Dunque, durante l’anno si verificano due solstizi: quello d’inverno – il 21 dicembre – e quello d’estate – il 21 giugno – che corrispondono rispettivamente al giorno con minor ore di luce e a quello con il maggior numero di ore di luce nel corso dell’anno. Questi due giorni hanno un grandissimo potere simbolico e vengono anche chiamate porte solstiziali; nell’antichità, infatti, si credeva che in questi giorni, in determinati luoghi – come quelli sopra indicati – si aprisse un passaggio tra il nostro mondo e quello celeste dell’aldilà. Le porte avevano due nomi distinti: il solstizio d’estate veniva chiamata “porta degli uomini” mentre, il solstizio d’inverno “porta degli dei”.
È interessante soffermarsi su quest’ultima porta poiché, è davvero curioso il fatto che pochi giorni dopo il solstizio, il 25 dicembre, sia collocata la nascita di molte divinità o persone determinanti per la storia di una religione. Non mi credete?
Allora ve ne darò una dimostrazione: la nascita di Gesù è stata collocata il 25 dicembre, come quella degli egizi Horus e Osiride, del babilonese Tammuz, del persiano Mitra, degli aztechi Huitzilopochtli e Quetzalcoatl, dei greci Dioniso, Ercole e Adone, del norreno Freyr, dell’indiano Krishna, del cinese Scing-Shin e anche di Buddha e Zarathustra.
Porta come simbolo di passaggio sacrale o celebrativo
Anche se la porta non ci conduce in un altro mondo, segna comunque il passaggio in un altro luogo, in un’altra condizione, indica un cambiamento. Determinate porte in particolare sono state create proprio affinché il loro attraversamento avesse una valenza rituale, simbolica e spirituale, purificatrice.
Una porta celebre, carica di questi esatti significati, è di certo la Porta Santa della basilica di San Pietro a Roma; elemento fisico e simbolico che dà inizio, con la sua apertura e fine, con la sua chiusura, al Giubileo. Quest’ultimo è stato istituito nel 1300 da papa Bonifacio VIII e permette ancora oggi ai fedeli di ottenere un’indulgenza plenaria, passando attraverso le Porte Sante delle principali basiliche, che vengono aperte all’inizio dell’Anno Santo e chiuse al suo termine.
In molte religioni la porta ha un significato sacro. In Giappone si trovano frequentemente le cosiddette Torii, porte rosse molto elementari costituite da due colonne verticali sulla cui cima si trova una trave orizzontale. Questi portali segnano l’ingresso a un tempio shintoista o a un’area ritenuta sacra. Simile al Torii è il Torana dell’architettura buddista e induista, da cui potrebbe aver avuto origine il portale giapponese. La medesima influenza avrebbe dato vita allo Hongsalmun coreano, la porta d’accesso per i templi, dalla funzione purificatoria. Il Paifang cinese invece, nel tempo ha perduto il proprio significato simbolico, mantenendo una funzione più che altro decorativa, sebbene anche in Cina esso delimiti talvolta un luogo sacro o un cimitero; come i lychgate del mondo anglosassone, che danno accesso ai tradizionali cimiteri inglesi.
Anche in occidente esiste una lunga tradizione di “porte” il cui attraversamento, ma soprattutto realizzazione, ha una valenza più celebrativa che sacrale: gli archi di trionfo. Roma li ha resi icona e sinonimo di fama imperitura e vittoria, fornendo un esempio architettonico riprodotto in tutto l’impero e poi in tutto il mondo, nel corso dei secoli e dei millenni.
Porte degne di nota
In quest’ultimo paragrafo volevo offrirvi una piccola ma sceltissima selezione di porte che desidero mostrarvi – letterariamente parlando – per diversi motivi.
Prima di tutto vi consiglio caldamente di googlare la “Porta di Ishtar” – l’ottava porta della città interna di Babilonia, costruita attorno al 575 a.C. sotto il re Nabucodonosor II nella parte nord della città, e consacrata alla dea Ishtar – che, sebbene non nel suo originario splendore – poiché la struttura era molto più vasta – è esposta al Pergamon Museum di Berlino. Questo meraviglioso portale era stato annoverato tra le meraviglie del mondo antico, in seguito venne sostituita dal faro di Alessandria, che la spodestò dalla “top seven” ma, sta di fatto, che il faro è andato distrutto, mentre le porte sono ancora qui, sfavillanti del loro fascino senza tempo…
In secundis voglio menzionarvi la prima porta automatica, progettata nel I secolo d. C. da Erone di Alessandria.
Inoltre, esistono due porte che, sebbene divise da molti secoli, sono l’una il controcanto dell’altra. Sto parlando della Porta del Paradiso e la Porta dell’Inferno. La prima è la porta del Battistero di Firenze, realizzata in bronzo dorato nella prima metà del Quattrocento dall’orefice e scultore Lorenzo Ghiberti. La porta è composta da dieci pannelli con episodi dell’Antico Testamento, incentrati sulle figure di Noè, Mosè, Isacco, Davide, Giuseppe e Salomone, a rappresentare il cammino della Salvezza e l’attesa della venuta di Cristo.
Questa porta stimolò il genio dello scultore Auguste Rodin per la sua celebre, benché incompiuta, Porta dell’Inferno, a cui lavorò per quasi quarant’anni, dal 1880 al 1917. Questa porta bronzea, che conta ben 180 figure di diverse dimensioni, si ispira principalmente all’Inferno della “Divina Commedia” di Dante: vi compaiono infatti, tra i personaggi, Dante stesso, al centro del portale, nelle vesti del “pensatore” di Rodin, il Conte Ugolino, Paolo e Francesca nonché Adamo ed Eva.
Infine, nel cuore di Roma, nei giardini di Piazza Vittorio Emanuele II, sorge una strana porta cosparsa di simboli alchemici e iscrizioni latine, vegliata da due statue dall’aspetto un tantino inquietante.
La porta è l’unica sopravvissuta della villa costruita a metà del XVII secolo dal marchese romano Massimiliano Palombara. Questi frequentò la corte romana della regina Cristina di Svezia, appassionata di scienza e di alchimia e mecenate di luminari come Cartesio e Kircher, ed entrò a far parte del gruppo conosciuto come “Gli Alchimisti di Palazzo Riario”, oggi Palazzo Corsini. Secondo la leggenda un alchimista pellegrino trovò ospitalità nella villa del Marchese mentre cercava una misteriosa erba in grado di realizzare l’alchimia suprema: la trasformazione del metallo in oro. Il mattino seguente il pellegrino sparì nella porta, lasciandosi alle spalle alcune scagliette d’oro, a testimoniare il successo della sua trasmutazione, e una pergamena. Su questa era scritta la ricetta per la trasformazione, ma il marchese non fu in grado di decodificarla, così la iscrisse sulla porta nella speranza che qualcuno, vedendola, la comprendesse e gliene svelasse il segreto.
Conclusioni
Siamo giunti al termine di questo viaggio che ci ha condotto dinanzi a porte di ogni sorta: grandi, piccole, sacre, semplici, imponenti, misteriose, che ci proteggono o celano un sapere arcano. Desidero salutarvi con un detto latino e una domanda:
“Si dice che la porta sia la parte più lunga di un viaggio.”
E se la porta non fosse parte del viaggio, ma il viaggio stesso?