Le Fate: origini, storia, tipologie e curiosità delle donne immortali a cavallo tra il mondo segreto ed il nostro
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Quando si parla di Fate, si pensa subito a una buona signora con l’abito azzurro lungo fino ai piedi, un cappello a cono sui capelli biondi e una bacchetta magica pronta a soddisfare ogni desiderio: è così che questi famosissimi personaggi vengono raffigurati nei libri di fiabe e nelle storie per bambini.
Ma le Fate autentiche sono un’altra cosa. Ce ne sono di bionde, brune, di giovani e di vecchie, di belle e di brutte, di eleganti e di straccione, e quanto al carattere… meglio stare attenti, perché nessuno è più imprevedibile di una Fata. E niente è più pericoloso del suo cattivo umore.
In tempi lontani, quando era facile incontrarne qualcuna tra gli alberi di una foresta o in fondo a una grotta, gli uomini badavano a non offenderle e addirittura le evitavano perché sapevano bene di avere a che fare con creature quasi onnipotenti, imparentate con le Dee e le Ninfe dell’antichità.
Tra le “bisnonne” delle Fate troviamo, infatti, le Moire, ossia le divinità greche che decidevano la sorte degli uomini: la prima, Cloto, filava il filo del destino, la seconda, Làchesi, lo misurava, e la terza, Atropo, lo tagliava. Figlie di Zeus, le tre Dee – che i Romani chiamavano Parche – venivano raffigurate come donne vecchie e cenciose, ed è proprio da loro che discendono le famose Fate Madrine riunite attorno alla culla dei neonati; si pensi alla Bella addormentata nel bosco, e si ricordi che oltre a Fauna, Flora e Serenella, anche Malefica era una Fata… incavolata, ma pur sempre Fata!
Altre antenate illustri sono le Fatue – compagne dei Fauni e capaci di predire il futuro – le Matres, dee galliche, che assistevano alla nascita dei bambini e decidevano del loro futuro, e le Norne, ossia le Moire scandinave.
Infine, bisogna ricordare le Ninfe e le Driadi, incantevoli figure mitologiche legate a boschi e acque, signore delle foreste e delle sorgenti.
Ognuna di queste creature soprannaturali ha regalato qualcosa di sé alle Fate, fino a farle diventare quelle che conosciamo: donne immortali dotate di incredibili poteri, che vanno e vengono tra il mondo segreto e senza tempo e il nostro.
La parola “Fata” deriva, con tutta probabilità dal latino Fatum, che vuol dire destino. Le tre Parche venivano infatti chiamate Tria Fata, oppure Fatae.
Le Fate inglesi, invece, si chiamano Fairies, un nome che però viene usato per indicare anche creature di altro genere, come gli Elfi, gli Gnomi, i Folletti e così via. In Irlanda e in Scozia, dove si parla Gaelico, il nome delle Fate è Daohine Shide – o semplicemente Shide – che vuol dire “Gente delle colline”.
Le Fate hanno la capacità di mutare dimensioni e aspetto e si divertono a mostrarsi agli uomini nei più strani travestimenti; si ricordi quella gran burlona della Fata della Bella e la Bestia, che era solo un tantino permalosa. Le Fate sono in genere bellissime ed eternamente giovani, risplendono lievemente al buio e amano portare ricchi gioielli e abiti sontuosi, lunghi fino a terra per mascherare una delle loro caratteristiche: molte di loro, infatti, hanno zoccoli di capra o di cerva al posto dei piedi.
Ci sono, tuttavia, anche Fate del tutto insensibili al fruscio della seta e al luccichio delle gemme: le timide e solitarie abitatrici delle foreste indossano semplici tuniche verdi o bianche – il bianco è il colore preferito delle Fate – oppure abiti fatti di foglie e di fiori freschi, quando non vanno in giro coperte soltanto dai loro lunghissimi capelli.
Le più modeste fra tutte restano le Fate anziane, simili a tranquille nonnette vestite di grigio, senza alcuna pretesa di eleganza; ma attenzione a non sottovalutarle, perché il loro aspetto dimesso nasconde quasi sempre poteri straordinari.
Esistono, specialmente nei paesi orientali, anche Fate brutte o grottesche, con pelli scagliose, lunghi denti oppure seni così lunghi che si possono buttare indietro, sopra le spalle.
Non sempre le Fate sono buone e generose come ci si aspetterebbe: è vero che spesso intervengono per premiare i buoni e punire i cattivi, ma non si può negare che siano terribilmente inclini a fare i dispetti, lunatiche e persino crudeli.
Il loro peggior difetto è sicuramente quello di essere permalose e vendicative. Basta un nonnulla per scatenare la loro collera, con conseguenze disastrose per chi ha avuto la disgrazia di offenderle.
La maggior parte delle Fate, inoltre, ama mettere il naso nelle faccende umane; alcune prendono sotto la loro protezione una singola persona o una famiglia intera, e dispensano consigli, aiuto e favori. E poi ci sono le Fate che si divertono a giocare scherzi più o meno maligni, invitando gli uomini a visitare le loro case, offrendo loro grandi ricchezze che, il mattino dopo si saranno trasformate in gusci di lumache e foglie secche. Attenzione, inoltre, alle vecchie mendicanti o alle donnette che domandano aiuto per trasportare un fascio di legna: spesso sono Fate travestite, decise a mettere alla prova la bontà umana; chi le tratta gentilmente verrà premiato, ma chi le respinge o le insulta riceverà una tremenda punizione.
Poco amanti dei contatti con gli uomini e perfino con le loro stesse sorelle sono, invece, le Fate silvestri, quelle che si nascondono nel folto dei boschi e che custodiscono piante e sorgenti; chi le sorprende mentre si specchiano in un laghetto o mentre si riposano sul muschio le vedrà fuggire all’istante, seccate per l’intrusione.
Si è detto che le Fate sono creature dai poteri sconfinati, ma spesso il potere di una fata è legato a un oggetto che le permette di compiere magie ed incantesimi. Di solito si tratta di una bacchetta, ma anche di un anello, di un velo o di uno scrigno, senza i quali la Fata tornerebbe ad essere una donna come le altre. Perdere simili oggetti o lasciarseli rubare è quindi per loro un’autentica sciagura; ed è proprio in questa occasione che gli uomini possono rendersi utili, ritrovandoli. Il premio sarà adeguato al favore reso. Chi poi fosse tentato di tenere per sé l’oggetto magico, non si illuda: nelle sue mani umane non funzionerebbe.
Ma approfondiamo un momento il discorso sulle dimore delle Fate. Nessuno meglio di loro è capace di arredare una casa in modo confortevole: quelli che sono stati invitati nei loro palazzi e castelli, o che sono riusciti ad entrarci di soppiatto, raccontano che mobili lussuosi, tende di seta e preziosissimi tappeti abbelliscono salotti e saloni, camere da letto e immense stanze da pranzo, dove spesso suona un’orchestra invisibile. Eppure, a guardarle dall’esterno, nessuno direbbe che le case delle Fate siano così sontuose: a volte somigliano a capannucce cadenti, a volte a modeste fattorie. Ma a farle sembrare tali è, ovviamente, un incantesimo, destinato ad ingannare solo gli
occhi umani.
Ancor più spesso, però, le Fate scelgono di costruire le loro case nelle viscere di una montagna o di una collina. E allora solo l’imboccatura di una grotta o una fenditura nella roccia segnalano a un occhio esperto l’esistenza delle magnifiche dimore sotterranee. Esemplare è il caso della reggia della Fata Pari-Banu nelle Mille e una notte, nel bel mezzo di una terra arida e desolata, cui si accedeva attraverso una grotta.
Tra le case fatate più “segrete” ci sono, naturalmente, quelle invisibili: castelli meravigliosi – come quello della Dama del Lago del ciclo arturiano – che sorgono in cima a un monte, nel mezzo di una foresta o in fondo a un lago, ma si lasciano vedere dagli uomini solo se le loro padrone lo desiderano, oppure appaiono dal nulla in certe notti dell’anno.
Chiunque trascorra qualche ora nelle dimore delle Fate si accorgerà, una volta uscito, che nel mondo degli uomini sono passati, in realtà, molti e molti anni; come accade nella fiaba giapponese di Urashima Taro. Questo perché nei luoghi fatati il tempo scorre lentissimo, o è addirittura immobile.
Il luogo fatato più difficile da raggiungere è senza dubbio l’Isola Vagante, che cambia continuamente posto e, come una zattera, si sposta sulla superficie dei mari e degli oceani, simile a un miraggio che i marinai riescono appena a intravedere e che subito sparisce. Laggiù è sempre primavera e chi vi approda non invecchia mai e guarisce da ogni ferita – come avvenne per Re Artù, ferito mortalmente nella battaglia di Camlann nella lotta contro Mordred; che fu posto su una chiatta dalla sorellastra, la Fata Morgana e portato sull’isola, dove riacquistò la salute – e da ogni malattia. Per questo gli Irlandesi la chiamano Tir Nan Og, ossia la “Terra della gioventù”; che altri non è che l’Isola di Avalon: visto che in bretone e in cornico – una lingua celtica – il termine usato per indicare mela è Aval, mentre in gallese è Afal, pronunciato aval, l’Isola di Avalon dovrebbe significare, quindi, “l’Isola delle mele”, che la ricollega direttamente al Giardino delle Esperidi e, in un certo modo, all’Eden.
Si racconta come quest’isola appaia agli uomini di notte, una volta ogni sette anni, e che solo deponendo sulla spiaggia un oggetto di ferro – materiale ritenuto in grado di vanificare gli incantesimi prodotti da elfi, fate e streghe – o accendendovi un fuoco, si eviterà che la Terra della Gioventù scompaia o si sposti.
Le Fate sono tutte donne, e se vogliono sposarsi e avere figli devono trovare un marito tra gli uomini. In genere sono loro a chiedere la mano dello sposo, promettendogli di portarlo nei loro castelli, dove il tempo non passa mai e si resta giovani per l’eternità, E non è proprio il caso che il prescelto si azzardi a rifiutare, perché gliene succederebbero di tutti i colori, oppure verrebbe rapito senza complimenti. Altrettanto spesso, però, una Fata riluttante viene costretta al matrimonio da un uomo che si è impadronito di un oggetto magico che le appartiene, senza il quale la poverina perde tutti i suoi poteri. E infine può accadere che la bellissima creatura accetti di sposare colui che l’ha aiutata in un momento di difficoltà, conquistata dal suo coraggio e dal suo disinteresse.
Che le nozze si facciano per amore, oppure per forza, c’è comunque da scommettere che non dureranno a lungo: i matrimoni tra Fate e mortali sono quasi sempre destinati a fallire, perché la sposa ha l’abitudine d’imporre al marito condizioni stravaganti, come quella di non essere vista in un certo giorno della settimana, o di non essere chiamata per nome. Appena lo sposo, per curiosità o per distrazione, infrange il divieto, subito la sposa sparisce – come accadde allo sfortunato cavaliere Raimondo con la Fata Melusina – per non tornare mai più. La sparizione è altrettanto immediata quando la moglie ritrova l’oggetto magico che le era stato rubato, nascosto in qualche angolo della
casa: anche se nel frattempo si è affezionata al marito umano e ai figli avuti da lui, non saprà resistere alla tentazione di tornare nel suo mondo.
Ora dedichiamo un momento di attenzione agli animali delle Fate.
Perché le Fate amano in modo particolare gli animali, e spesso li usano come “esca” per chiamare a sé gli uomini. Può succedere ad esempio che uno splendido cervo dalle corna d’oro si faccia inseguire a lungo da un cacciatore, che ad un tratto si ritroverà nel folto del bosco e vedrà apparire una dama bellissima. Altre volte, invece, sarà un uccello dalle candide piume, oppure una farfalla, o addirittura un magnifico unicorno ad attirare un uomo o una ragazza verso la Signora della Foresta che vuole incontrarli.
Servitori e amici fedeli delle Fate, gli animali hanno con loro un legame profondo: molte Fate si trasformano esse stesse in animali in alcune occasioni o giorni specifici dell’anno e in quei momenti perdono i loro poteri, correndo gli stessi rischi di un animale autentico. Gli uomini che le aiutano in queste circostanze, guadagneranno la loro eterna gratitudine e grandi ricompense.
Un’antica leggenda racconta che alcune Fate usano trasformarsi in animali grazie a un abito fatto con le piume o la pelliccia della bestia prescelta; quando poi si spogliano della veste magica, riprendono il loro vero aspetto.
Ma anche tra le Fate e la vegetazione c’è un rapporto molto stretto: non solo gran parte di esse preferisce abitare nei boschi, ma tutte, indistintamente, sono protettrici delle piante, dei fiori e degli alberi, e ne conoscono le virtù medicinali. I palazzi e i castelli fatati, inoltre, sono circondati da giardini meravigliosi, dove fioriscono in ogni stagione tutti i fiori del mondo e dove crescono alberi che danno frutti d’oro e di pietre preziose, o mele prodigiose che fanno restare eternamente giovani.
E per cancellarvi completamente lo stereotipo di Fata come creaturina dolce e benevola – e traumatizzarvi retroattivamente l’infanzia – vi lascio con alcuni esempi di Fate davvero indimenticabili… come la Leanhaun Shee – che deriva dal gaelico scozzese “leannan Sìth”, ovvero “concubina del Sidhe” (il Sidhe è il “Popolo dei tumuli”) – che vivrebbe sotto terra in piccoli aggregati costruiti in grotte sotterranee.
La Leanhaun Shee viene di solito descritta come una bellissima ragazza dai lunghi capelli neri o rossi, con occhi penetranti e dal corpo sinuoso e formoso; apparirebbe ad ignari viaggiatori solitari, contadini e boscaioli offrendosi come musa ispiratrice per convincerli a diventare artisti – scrittori, poeti, pittori, scultori ecc. – in cambio della loro devozione. Quest’attrazione del neo artista verso la sua “musa” lo condurrà lentamente ed inesorabilmente alla follia e ad una morte prematura.
La Baobhan-Sith, invece, è una deliziosa fatina inglese vestita di verde, che fa innamorare di sé gli uomini e poi si nutre del loro sangue. Una volta sazia, prende la forma di un corvo grigio e vola via. La si può riconoscere dai piedi di cerva – come quelli sfoggiati da Katy Perry nel video E.T. al minuto 4.33 – di solito nascosti dalla lunga veste.
Altre simpatiche fatine sono le Fenettes che vivono presso il lago Lemano, in Svizzera; sono piccole, bionde e lanciano continuamente richiami e grida. Chi le vede muore entro l’anno…
E concludiamo la carrellata con le Vily o Villi, Fate bellissime che si possono incontrare tra le montagne e i boschi dei paesi slavi. Queste Fate sono estremamente famose grazie al balletto Giselle, della metà del XIX secolo – ideato da Théophile Gautier, musicato da Adolphe-Charles Adam e coreografato da Jean Coralli e Jules Perrot.
L’autore fu ispirato dalle pagine del romanzo De l’Allemagne di Heinrich Heine; impressionato dalla suggestività dei luoghi descritti e soprattutto della Saga delle “Villi” – dalla radice slava Vila che significa Fata – nome con il quale, nella mitologia dei popoli slavi, si designano gli spiriti di giovani fanciulle morte infelici perché tradite o abbandonate prima del matrimonio. Vendicative e spettrali, incapaci di trovare riposo eterno nella morte, ogni notte vagano in cerca dei loro traditori e li costringono, con l’aiuto di rametti di vischio apparentemente magici, a ballare convulsamente fino a provocarne la morte per sfinimento o fino a che, totalmente indeboliti, non vengono gettati in un lago nelle loro vicinanze. Alla morte del rispettivo traditore, le Villi si dileguano e con esse svanisce, finalmente placato, il fantasma della fanciulla morta per amore. Nel libro di Heine, inoltre, le Villi provano un irrefrenabile desiderio e amore per la danza, aspetto che contribuì a fare di questa leggenda la fonte di ispirazione del balletto.
Ed eccoci infine giunti alla fine della prima parte del nostro viaggio nella terra delle creature fantastiche.
Ma di tante creature ancora si racconta nel libro di Magia…