Unicorno: storia di una creatura leggendaria
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Il mito dell’unicorno tra realtà e fantasia nel corso dei secoli. Dalle antiche origini della leggenda di questa creatura fantastica alla cultura pop.
“Ci son due coccodrilli
ed un orango tango,
due piccoli serpenti
e un’aquila reale,
il gatto, il topo, l’elefante:
non manca più nessuno;
solo non si vedono i due liocorni.”
Così recita la canzone “I due liocorni” – che altro non sono che unicorni – scritta a più mani nel 1976.
Dunque, capite bene che se già se ne erano perse le tracce prima del diluvio universale, l’Unicorno è una creatura decisamente misteriosa.
Ma ciò non ha impedito all’uomo di lanciarsi alla sua ricerca, per la gioia di rinoceronti e poveri narvali innocenti!
Gli Unicorni esistono? L’antenato dell’Unicorno
Ma andiamo con ordine, incominciando dalle sue origini, e quindi dalla creatura dietro la leggenda: l’Elasmotherium, un rinoceronte peloso gigante, conosciuto anche come “Unicorno siberiano”, vissuto nell’Europa orientale e nell’Asia – tra Mongolia, Cina settentrionale e Kazakistan – fino ad almeno il 39.000 a.C., e il Coelodonta antiquitatis – rinoceronte lanoso per gli amici – vissuto fino al 10.000 circa a.C..
Entrambe queste specie, quindi, hanno avuto il tempo di farsi ammirare e ritrarre in tutto il loro splendore sia dall’Homo Sapiens che da quello di Neanderthal, affinché il loro ricordo perdurasse e venisse tramandato.
Anche se questi parenti del moderno rinoceronte non sono gli unici animali ad aver ispirato il mito; altra degna candidata è stata probabilmente l’antilope tibetana. Mi potreste far notare che l’antilope in questione ha due corna; e io vi consiglierei di guardarla di profilo…
L’Unicorno nella letteratura orientale
Inoltre, tracce dell’Unicorno, o meglio, delle caratteristiche che poi gli verranno attribuite, possiamo ritrovarle già in alcuni passi dei “Veda” (testi sacri dell’Induismo, scritti tra il 2000 e il 500 a.C. circa): nell’ “Atharvaveda” pare si alluda a una specie di antilope-Unicorno, nel “Satapatha Brahmana”, la divinità Visnù prende le sembianze di un pesce-Unicorno per dire a Manu – una fusione induista tra i nostri Adamo e Noè – cosa fare per salvarsi dal diluvio universale. Perché sapete, l’episodio del diluvio universale non viene raccontato solo nella Bibbia, ma anche in molti racconti mitologici dell’Asia e della Grecia.
Ma contro ogni aspettativa, il primordiale episodio della fanciulla che ammansisce il mitico animale, può trovare le sue origini in un componimento ben più antico: “L’epopea di Gilgamesh” – un poema epico di ambientazione sumerica composto tra il 2600 e il 2500 a. C. – in cui proprio l’amico di Gilgamesh, Enkidu, è cresciuto tra gli animali – gli vengono attribuite caratteristiche ferine come le corna di toro o gazzella – e la sua natura animalesca viene vinta dall’incontro con una cortigiana che lo condurrà ad una nobilitazione della mente e dell’animo, riportandolo alla civiltà. Questo stesso episodio viene ripreso e narrato secoli dopo nel “Mahābarāta” – poema epico religioso induista composto tra il IV secolo a.C. e il IV secolo d.C., in cui l’eremita Rishyashringa – “Corno di Gazzella”, che chiameremo “Unicorno junior” – figlio di Ekasringa – “Unicorno” – viene indotto a uscire dal suo romitorio dalla figlia del re, che lo sposa (ma, secondo una diversa versione, viene sedotto da una cortigiana, che però egli pensava essere un’asceta).
Questi primi elementi letterari, uniti al ricordo della creatura preistorica, hanno potuto, in parte, influenzare la creazione del K’i-lin, detto “Unicorno cinese”. I primi riferimenti al K’i-lin si possono trovare nello “Zuo Zhuan” – un testo di storia cinese, risalente al V secolo a.C. che narra principalmente fatti politici, diplomatici e militari del periodo tra il 722 e il 468 a.C., lasciando però spazio anche al racconto di fenomeni straordinari come apparizioni di fantasmi e portenti cosmici – e nel coevo “Li-Chi” – “Libro dei Riti”, scritto da Confucio – in cui il K’i-lin appare, assieme al Drago, la Fenice e la Tartaruga, come uno dei Si Ling: i quattro animali guardiani della mitologia cinese. Qui è descritto come un grande cervo con il dorso di cinque colori e il ventre giallo, gli zoccoli di un cavallo, la coda di un bue ed è munito di un grande corno sulla fronte.
E ci si domanda: come ha fatto questo simpatico animaletto a giungere in Europa? E poi, l’Unicorno non ha un manto candido?
Non temete, risponderemo ad ogni domanda! A cominciare dalla prima.
L’Unicorno giunge in Europa
Ctesia di Cnido – ridente cittadina greca dell’Anatolia, Asia Minore per intenderci – era un medico viaggiatore, appassionato di storia, vissuto nel V secolo a.C.; fu uomo di fiducia del Gran Re di Persia Artaserse II. Tra le sue opere, egli ne compose una – “Indikà” – sull’India. Probabilmente, proprio le sue parole hanno fatto approdare nell’immaginario europeo il prototipo dell’Unicorno:
“Vi sono asini selvatici in India, simili a cavalli e più grandi; sono bianchi di corpo, col capo rosso purpureo e gli occhi blu. Hanno un corno sulla fronte della grandezza di un cubito; la parte inferiore del corno, verso la fronte, nella misura di due palmi, è completamente bianca; la parte superiore del corno è appuntita, questa è del tutto di un rosso purpureo; per il resto, quella nel mezzo è nera. Coloro che hanno bevuto da questi corni – ne fanno infatti delle coppe – dicono non sono presi da spasmi, né dal morbo sacro, ma non soccombono neppure ai veleni se, sia che li abbiano ingeriti prima o dopo, bevono vino, acqua o qualche altra bevanda da questi calici […]”.
In seguito ne parleranno studiosi e naturalisti del calibro di Aristotele (384-322 a.C.), Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), Tertulliano (155-230 d.C.) e Claudio Eliano (170-235 d.C.).
In ambito Occidentale e cristiano, la grande fortuna dell’Unicorno nasce da un errore di traduzione della Bibbia: tra il III e il II secolo a.C. ad Alessandria d’Egitto un gruppo di settanta traduttori si adoperarono per tradurre il testo da ebraico a greco. Essi si imbatterono in un termine ebraico – “reem” – che indicava un animale cornuto, non ben identificato, che tradussero con il nome di uno a loro ben noto, proprio da una descrizione che ne faceva Aristotele: il μονόκερως – “animale da un solo corno” – ossia “Unicorno”. Questo errore venne seguito nella successiva e definitiva traduzione in latino della Bibbia poi adottata ufficialmente dalla Chiesa romana – cioè la “Vulgata” di San Girolamo – in cui il termine greco divenne in alcune parti “rhinoceros” e in altre “unicornis”. Questo portò non solo alla credenza diffusa che l’Unicorno esistesse realmente, perché citato nel testo sacro, ma anche ad una interpretazione in chiave cristiana del mito dell’Unicorno che prese avvio con i padri della Chiesa, impegnati in una ricerca di cristianizzazione dei simboli prima parte dell’immaginario pagano.
L’Unicorno come Simbolo
Il testo che canonizzò e consacrò definitivamente l’animale a simbolo fu il “Fisiologo” – opera anonima scritta in greco ad Alessandria d’Egitto tra il II e il III secolo d.C. e successivamente tradotta in latino – che costituisce il modello di riferimento per tutti i successivi bestiari medioevali. I capitoli sono bipartiti: una parte contiene la descrizione delle qualità e delle caratteristiche della natura dell’oggetto analizzato e nell’altra parte una spiegazione di significato teologico. Analizza il mondo sotto la luce della fede cristiana e quindi come manifestazione della volontà di Dio e del significato simbolico che le avvolge. La nascita di questo libro e dei successivi bestiari si basa sull’assunto che ogni espressione materiale è un segno della natura di Dio che contiene insegnamenti morali o verità spirituali.
Nel “Fisiologo” si legge dell’Unicorno:
“È un animale piccolo, simile ad un capretto, è molto feroce, ha un corno in mezzo alla testa e nessun cacciatore lo può catturare. Ma con questo stratagemma lo catturano: conducono nel luogo dove quello dimora una fanciulla vergine e la lasciano sola nella selva. Quello, appena vede la vergine, la abbraccia e, mentre dorme sul suo grembo, viene preso da coloro che lo spiano e messo in mostra nel palazzo del re.”
In queste righe del “Fisiologo” si trova la descrizione precisa dell’idea che l’uomo medievale aveva di questo animale. L’Unicorno viene qui paragonato a Cristo che diventa “spirituale Unicorno” che ha ammansito la propria natura divina in quella umana ed è disceso nel ventre della Vergine Maria e attraverso l’incarnazione in uomo viene catturato dai Giudei e condannato.
E da questo momento in poi, magicamente, nei bestiari vedremo sempre l’Unicorno raffigurato candido come la neve; ma d’altre parte, anche Gesù una volta giunto in Occidente è diventato bianco, biondo e con gli occhi azzurri…
Nel corso però del XII secolo avviene uno sdoppiamento nel significato iconografico dell’animale: da una parte rimane la linea religiosa e moraleggiante, dall’altra le caratteristiche degli animali fantastici dei bestiari vengono applicate alla lirica cortese di ambito amoroso, tendenza che si va approfondendo in questo momento storico. Da ambito prettamente religioso ci si trasferisce su di uno prettamente profano. “Li Bestiaires d’amours” di Richart de Fournival – scritto verso la metà del XIII secolo – è significativo. In esso l’innamorato viene paragonanto all’Unicorno:
“Così come l’animale si ammansisce sentendo il profumo di una vergine e si addormenta sul suo grembo e viene ucciso, così colui che è desideroso dell’amore della sua amata è stato preso nel sonno d’amore attraverso l’udito, l’olfatto e la vista e Amore gli ha portato la morte.”
La coppia vergine e Unicorno assurgerà quindi a celebrazione di verginità e castità proprio come evoluzione del modo di intendere le caratteristiche descritte dal bestiario medievale. Poiché l’Unicorno spasima per la vergine in questione, ma, nonostante il suo desiderio, la conserva tale. Questo porterà alla rappresentazione di questa iconografia, soprattutto nei quadri di fidanzamento; essa sta a significare l’attesa casta del matrimonio, dopo il quale, evidentemente, l’“Unicorno” potrà risvegliarsi…
L’unicorno nell’araldica
Inoltre abbiamo compreso che l’indole dell’Unicorno, prima dell’epoca contemporanea, non fosse considerata affatto così kawaii, tenerina e coccolosa. Questo è possibile comprenderlo anche dagli stemmi araldici su cui l’Unicorno è spesso presente e dove – come nell’emblema del Regno Unito – viene raffigurato con un collare, spesso fissato a terra con una catena, come a domarne l’indole bestiale; trattamento che l’araldica non riserva a nessun altro animaletto, neppure al leone o al drago. Meditate gente, meditate…
I poteri dell’Unicorno
Ma abbiamo detto anche che la vergine lasciata nel bosco è soprattutto un’esca per attirare il ferocissimo Unicorno e ammansirlo cosicché i cacciatori possano catturarlo e abbatterlo; come già viene sostenuto nel “Fisiologo”, come dirà in seguito lo stesso Leonardo da Vinci e molti altri. Ma perché l’Unicorno viene cacciato? Per la sua carne prelibata?
Naaa… anche se attualmente la vendono in scatola. Provare per credere!
Per il suo sangue color mercurio, che tiene in vita anche in punto di morte?
Neppure. Questo viene affermato solo nel XX secolo nella saga di Harry Potter.
In realtà il motivo di tanto accanimento nei confronti dell’Unicorno, è il desiderio di impadronirsi proprio del suo corno. Il motivo è semplice: pare che sia altamente taumaturgico, ma soprattutto che funzioni meglio di qualsiasi depuratore per l’acqua che sia mai stato inventato, poiché la purifica anche dai veleni. Potrete immaginare che per personaggi potenti come sovrani e pontefici, disporre dell’utilizzo di un simile oggetto, non era cosa da poco.
In quasi tutte le corti dell’Europa medievale i sovrani volevano sulle loro tavole i corni d’Unicorno e persino nell’inventario del tesoro papale di Bonifacio VIII, datato 1295, troviamo una menzione speciale di “quattro corna di unicorni, lunghe e contorte” utilizzati per fare l’“assaggio” di tutto ciò che era servito al papa.
E non era raro che, membri di varie famiglie reali, bevessero da una tazza costituita dal “corno di un Unicorno”. Fino al XVII secolo i corni di Unicorno impreziosirono cabinet des curiosités e wunderkammer – camere delle meraviglie – di tutta Europa; anche Elisabetta I d’Inghilterra aveva nella sua collezione di oggetti preziosi, rari o esotici un “corno di Unicorno”, donatole nel 1577 dall’esploratore Martin Frobisher, al ritorno dal Labrador. Inoltre, se da una parte, il suddetto corno di Unicorno, o la sua polvere, era considerato un antidoto contro ogni veleno, dall’altra, proprio alla sua polvere, si attribuivano proprietà afrodisiache; se vi spiegassi la metafora che sottende questa credenza offenderei la vostra intelligenza…
Il vero corno di Unicorno
Ma come ben siamo consapevoli ora – con il senno di poi – che gli unicorni non esistono, da cosa veniva ricavato tutto il merchandising pagato, per secoli, a peso d’oro, dagli uomini più ricchi e potenti?
Semplice: rinoceronti e, soprattutto, narvali – cetacei appartenenti alla famiglia dei delfinatteri – anche se, per essere precisi, il “corno” estorto con la forza a questi ultimi, non è davvero un corno, bensì un lungo, lunghissimo dentone che si sviluppa negli esemplari maschi fino ad una lunghezza di 2,7 metri.
E comunque è incredibile la testardaggine, la perseveranza o forse l’ottusità umana nel correre dietro a fantasmi, come l’Unicorno…
Nel lontano 1298 Marco Polo nel suo “Il Milione” racconta dei suoi viaggi in Asia – proprio la terra da cui si pensava provenisse l’Unicorno – e parla proprio di questa creatura identificandola, sagacemente, con il rinoceronte di Giava, e, descrivendola come una brutta e grossa bestiaccia, redarguisce i lettori dal porgli dinanzi una donzella, come suggeriva la leggenda (effettivamente l’esito del tentativo avrebbe potuto avere risvolti estremamente splatter). Ma voi pensate che i contemporanei o i posteri abbiano dato peso alla testimonianza del povero Marco Polo? Ovviamente no. E come una novella Cassandra dell’omerica “Iliade” la gente non vide o non volle vedere la verità che egli mostrava.
L’Unicorno nella cultura pop
Ma anche in tempi moderni, sembriamo non arrenderci all’inesistenza di queste creature fantastiche, creando – soprattutto dal 2016 – un merchandising da cui non penso nessun campo si sia salvato: dai prodotti alimentari all’abbigliamento, dalla cosmesi, ai gadget più improbabili…
Tutto è stato creato ispirandosi all’Unicorno o, addirittura, a quanto “da lui prodotto”. Mi spiego meglio: l’Unicorno è come se non peggio del maiale; di lui non si butta davvero nulla, e rimpiango i tempi passati in cui ci si accontentava di averne soltanto il corno!
Ora non solo si vendono sedicenti carni di Unicorno in scatola, ma qualsiasi cosa il supposto Unicorno produca. E con una magica mitopoiesi, ecco che lacrime, pipì, muco e persino rifiuti organici solidi, divengono cosmetici, vernici iridescenti o cibi squisiti dalle tonalità pastello!
Inoltre, l’Unicorno, con la sua di libertà, unicità e rottura degli stereotipi di “normalità”, è divenuto uno dei simboli della comunità LGBT – merita di essere ricordata la tenera love story sopra le righe, con quel profumo di zoofilia fantasy, tra Deadpool e il suo Unicorno – anche perché, forma un abbinamento davvero vincente con la bandiera arcobaleno.
Ma quando e come è avvenuto l’accostamento dell’Unicorno con l’arcobaleno?
Dunque, durante l’epoca vittoriana l’Unicorno cominciò a popolare le storie per bambini e fu associato per la prima volta all’arcobaleno. E sempre nella cultura anglosassone troviamo il detto che canonizza questa accoppiata; infatti, l’espressione “tutto rosa e fiori”, in inglese è tradotta “all rainbows and unicorns”, ossia: “tutto arcobaleni e unicorni”.
Ma a cosa è dovuta questa Unicorno-mania da cui sembrano essere affetti gli adulti ancor prima dei bambini?
A tal proposito, esistono principalmente due scuole di pensiero: quella del dottor John Michael Dorian di “Scrubs” – serie televisiva statunitense – che diceva:
“Non è un Unicorno, è un cavallo con una spada sulla testa che protegge le mie speranze e i miei sogni.”
Quindi una specie di guida e guardiano del mondo della fantasia – non per niente il più grande festival fantasy italiano si chiama, emblematicamente, proprio “Festa dell’Unicorno” – dell’evasione e dell’immaginario che alimenta simbolicamente i nostri sogni e le nostre speranze; oppure, un emblema e una polvere di stelle che ci permette di ritornare nostalgicamente – inducendo una lievissima sindrome di Peter Pan – al mondo dell’infanzia; infatti negli anni ’80 comparvero, tra i vari giocattoli per bambini, i My Little Pony – chiamati anche Mio Mini Pony – cavallini coloratissimi, alcuni dei quali avevano l’aspetto di unicorni. A rendere ancor più incisivo ed indimenticabile questo giocattolo accorse provvidenzialmente, in quegli stessi anni, un cartone animato statunitense: “My Little Pony”, tradotto in Italia come “Vola mio mini pony”, di cui Cristina D’Avena ha cantato la sigla.
Quanti bei ricordi… sniff… mi sembra ieri quando cantavo a squarcia gola:
“Tu voli in alto lassù
Dove il cielo è più blu
Dolce mio mini pony […].”
Un momento. Era veramente ieri, mentre stavo sotto la doccia!
Emm…
Conclusioni
Secondo gli esperti di marketing, questo periodo “Neounicornico” non durerà ancora a lungo. Questo è uno dei motivi per cui i vari marchi si sono premurati di creare praticamente ogni cosa ispirata agli unicorni in “limited edition”, per scongiurare il più possibile il rischio di rimanenze.
Io, dal canto mio, devo ammettere che all’apprendere che questa “Era magica e arcobalenosa” sta per tramontare, tiro un sospiro di sollievo, poiché tra penne, matite, cover del cellulare, palloncini, statuine, pupazzetti, peluche, porta-anelli, grembiule, presine, cosmetici, pennelli per il trucco, tazze, tovaglietta, portachiavi, boccette, magliette, pigiama, calzini e pantofole con o a forma di Unicorno, non credo che potrei andare avanti così ancora per molto!