“Specchio, specchio delle mie brame…”: lo specchio come non l’avete mai “visto”, tra fiabe, leggende, mitologia e… selfie!
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“Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?”
Dubito che qualcuno non conosca questa citazione della strega cattiva di Biancaneve, per gli amici Grimilde.
Ma perché “madonna Grimilde” si appella proprio ad uno specchio e non a uno scrigno, a una boccetta di profumo o a qualche altro oggetto?
Ora vi spiego perché.
Lo specchio è un oggetto antichissimo, che esisteva ancor prima di essere inventato: bastava affacciarsi su uno “specchio d’acqua” per vedervi riflessa la propria immagine!
Ma nel corso dei secoli si è caricato di una miriade di valenze simboliche, per cui nelle favole, nelle leggende, nella mitologia lo troviamo nelle mani di streghe, principesse, dee – come Venere e Amaterasu – folli e sapienti.
Tutto parte dal significato etimologico del termine: specchio, in latino speculum, dal verbo spicio – guardare – che è a sua volta derivato dalla radice indoeuropea spek, che ha lo stesso significato ed è foneticamente simile anche al greco skep-(tomai), e al gotico speha, da cui la parola spia.
Il termine latino auspicium è quindi intimamente connesso con l’azione di osservare e guardare qualcosa anche in un tempo che non corrisponde al presente.
Una delle più antiche forme di divinazione è, infatti, la cristallomanzia, o divinazione da specchi, che si effettua utilizzando uno specchio o dei cristalli. Questa pratica era utilizzata dai maghi Persiani, dagli antichi Greci – in particolare dalle streghe della Tessaglia che poi scrivevano le loro predizioni, con il sangue umano sulla loro superficie – dai Romani e persino dai maghi e alchimisti del Rinascimento.
Possiamo ritrovare il potere divinatorio che viene attribuito allo specchio in fiabe come, appunto, Biancaneve, ma anche La Bella e la Bestia:
“[…] «Desidero vedere mio padre!». Subito un largo specchio appeso al muro si appannò lievemente, poi si schiarì, e Bella vide delinearsi nel cristallo la cucina di casa sua. C’erano le sorelle che chiacchieravano allegramente, come se il pensiero di lei e del padre non le sfiorasse nemmeno. Poi ecco sopraggiungere il padre, disfatto dal dolore; sedette tristemente presso il camino, mentre le ragazze lo abbracciavano simulando le lacrime. Quindi l’immagine svanì e Bella si sentì piena di tristezza […].”
Ma a volte lo specchio è stato considerato come un oggetto che ci mostra una realtà diversa da quella in cui siamo, distorta…
“[…] «Ti piacerebbe stare nella Casa dello Specchio, Kitty? Chi sa, se ti darebbero il latte là dentro? Forse il latte della Casa dello Specchio non è buono da bere. […] Oh, Kitty, che bellezza se potessimo entrare nella Casa dello Specchio! Son certa che ci sono tante belle cose. Fingiamo di poterci entrare, Kitty, fingiamo che lo specchio sia morbido come un velo, e che si possa attraversare. To’, adesso sta diventando come una specie di nebbia… Entrarci è la cosa più facile del mondo». Alice stava sulla mensola del caminetto mentre diceva così, sebbene non sapesse spiegarsi come fosse arrivata lassù. E certo il cristallo cominciava a svanire, come una nebbia lucente. L’istante dopo Alice attraversava lo specchio e saltava agilmente nella stanza di dietro […].”
Si legge nel libro pubblicato nel 1871 da Charles Lutwidge Dodgson – più noto come Lewis Carroll – “Alice attraverso lo specchio”.
Qui le caratteristiche stra-ordinarie dello specchio si ripercuotano oltre il semplice oggetto, estendendosi piuttosto entro il mondo di cui esso stesso è porta; le determinazioni simboliche del “riflesso” si proiettano verso un “al di là” possibile, creando in tal modo una realtà fantastica in cui ogni parola, ogni gesto, ogni accadimento ripropone, nella sua struttura intrinseca, la sua derivazione speculare fenomenologica e/o di significato. Lewis Carroll sembra voler stimolare il lettore ad una riflessione su temi consueti poco indagati, specchiando nel suo mondo possibile l’erronea credenza per cui un nome debba essenzialmente rappresentare ciò che significa.
Effettivamente, come diceva Giulietta:
“[…] Quella che noi chiamiamo una rosa, con qualsiasi altro nome, profumerebbe altrettanto dolcemente […].”
Qual è allora il rapporto tra specchi e parole? Forse, sembra voler suggerire l’autore, non vi è alcuna somiglianza strutturale.
Anche nella fiaba La Regina delle Nevi, di Hans Christian Andersen, troviamo uno specchio che deforma la realtà, ed il suo frantumarsi è l’origine delle vicende dei protagonisti:
“[…] Un giorno era proprio di buon umore (il diavolo), perché aveva costruito uno specchio che aveva la facoltà di far sparire immediatamente tutte le cose belle e buone che vi si rispecchiavano, come non fossero state nulla; quello che invece era brutto e che appariva orribile, risaltava ancora di più. I più bei paesaggi sembravano spinaci cotti, e gli uomini migliori diventavano orribili o stavano schiacciati a testa in giù; i volti venivano così deformati che non erano più riconoscibili, e se qualcuno aveva una lentiggine, allora poteva essere ben sicuro che questa si sarebbe allargata fino al naso e alla bocca […].”
Ma ad un certo punto lo specchio va in mille pezzi e un numero infinito di schegge, più o meno grandi, si diffonde per il mondo; uno dei frammenti finisce nell’occhio dello sfortunato protagonista, capovolgendone in tal modo il carattere: da buono ed innocente si trasforma in un essere meschino e immorale. Viene poi rapito dalla Regina delle Nevi; ci troviamo così innanzi a un gioco di molteplici immagini asimmetriche, interne ed esterne, di ribaltamenti fisici e psichici: i frammenti dello specchio, il palazzo di ghiaccio della Regina. Siamo in un grande labirinto di riflessi che tuttavia, come tutti i labirinti, possiede una via d’uscita, che il protagonista della storia riuscirà a trovare.
Un altro famosissimo specchio che altera la realtà lo troviamo in Harry Potter e la pietra filosofale, lo Specchio delle Brame:
«Capisci adesso che cos’è che noi tutti vediamo nello Specchio delle Brame?» Harry scosse la testa.
«Allora te lo spiego. L’uomo più felice della terra riuscirebbe a usare lo Specchio delle Brame come un normale specchio, vale a dire che, guardandoci dentro, vedrebbe sé stesso esattamente com’è. Cominci a capire?» Harry rimase per un po’ sovrappensiero. Poi disse lentamente: «Ci vediamo dentro quel che desideriamo… le cose che vogliamo…»
«Si e no» disse Silente tranquillo. «Ci mostra né più né meno quello che desideriamo più profondamente e più irresistibilmente in cuor nostro […]. E tuttavia questo specchio non ci dà né la conoscenza né la verità. Ci sono uomini che si sono smarriti a forza di guardarcisi, rapiti da quel che avevano visto, oppure hanno perso il senno perché non sapevano se quel che esso mostra è reale o anche solo possibile […].»
Infine c’è un’ultima interpretazione simbolica dello specchio, forse quella che più avvicina il mondo del mito e della fantasia a quello della realtà: lo specchio come rivelatore del vero Io.
Vi faccio un piccolo esempio chiarificatore.
Avete presente quando nel cartone Disney de “La Sirenetta” Ursula prende le sembianze di una bella ragazza per incantare il principe, ma quando il giorno delle nozze riflette la sua immagine in uno specchio, il riflesso che le viene restituito è quello del suo aspetto originario?
Lo specchio è lo strumento che mostra la vera natura di qualcuno.
La credenza è nata dal fatto che anticamente gli specchi erano fatti con una sottilissima lamina d’argento tirata a lucido. L’argento è un metallo nobile e si riteneva avesse proprietà magiche che, quindi venivano conferite allo specchio. Così si pensava che i demoni e le creature soprannaturali – come i vampiri – tradissero la loro natura davanti a uno specchio, poiché non restituiva la loro immagine; mentre le incarnazioni diaboliche – come il basilisco – non riuscissero a tollerare la loro immagine e morissero non appena la vedevano riflessa.
Che fantasia che avevano nell’antichità!
Eppure, anche se sembra assurdo, una reazione simile l’hanno le persone affette da eisoptrofobia – ossia la paura di vedere la propria immagine riflessa ovunque – o da catoptrofobia, che si riferisce esclusivamente alla paura di vedersi riflessi in uno specchio. I sintomi possono variare da un rifiuto lieve degli specchi all’avere attacchi di panico, manifestati con respiro ansimante o pesante, sudorazione, ansietà, ecc.
Le persone con queste fobie temono di guardare il proprio riflesso negli specchi, specialmente quelli grandi o a figura intera poiché non si accettano per ciò che sono.
Lo specchio ci mostra come appariamo, ma anche chi siamo. E non è affatto semplice confrontarsi con noi stessi, con il nostro Io. Questo lo sapeva bene Michael Ende quando nel 1979 ha pubblicato La storia infinita. Qui una delle tre prove che Atreyu deve affrontare è quella della Porta dello Specchio Magico, ed è interessante la conversazione che nel film hanno a tal proposito lo gnomo Engywook ed il FortunaDrago Falkor:
«Tu non capisci un bel niente! Il peggio deve ancora affrontarlo! La porta dello Specchio Magico: si troverà faccia a faccia con il proprio io!»
«E con questo? Che vuoi che sia per lui?»
«Eeh, tutti sono convinti che sia facile… ma sovente i buoni scoprono di essere crudeli, eroi famosi scoprono di essere codardi. Posti di fronte al loro vero io pressoché tutti gli uomini fuggono urlando! […]»
A tal proposito vi consiglio caldamente di guardare anche il video della canzone “Il bambino e la rosa”.
Confrontarsi con sé stessi, avere consapevolezza di sé è indice di saggezza e qui viene interpretato quasi come un rito di passaggio.
Ma non tutti accettano l’immagine che vedono riflessa nello specchio. Come cantava Mulan:
“Guardami,
quella che tu vedi non sono io,
tu non mi conosci…
È così, la mia parte è questa qua.
Eccomi,
ciò che mostro è solo esteriorità,
certo non il cuore mio.
Dimmi, dimmi chi è
l’ombra che
riflette me,
non è come sono io e il perché non so.
Sono qui,
obbligata sempre a nascondere
quello in cui più credo;
a essere,
fuori e dentro uguale, un’identità, in un mondo in libertà.
Dimmi, dimmi chi è
l’ombra che riflette me,
non è come la vorrei, perché non so.
Chi sono e chi sarò lo so io, solo io,
e il riflesso mio sarà uguale a me […].”
Oppure non riconoscono proprio l’immagine riflessa come la propria. Narciso – che James Franco si è divertito ad imitare seducendo il suo riflesso – ne sa qualcosa, visto che questo scherzetto gli è costato la vita. Alla sua nascita l’indovino Tiresia aveva predetto che sarebbe vissuto a lungo, a meno che non avesse conosciuto sé stesso. Ma queste parole sono sibilline, perché Narciso ha conosciuto sé stesso, ma non comprendendo veramente chi fosse: questo lo ha condotto alla rovina.
Γνῶθι σεαυτόν – in greco antico – gnōthi seautón “Conosci te stesso” è una massima che secoli fa svettava incisa sul tempio dell’oracolo di Apollo a Delfi. La locuzione latina corrispondente è “nosce te ipsum”. Ma è anche utilizzata in latino la versione “temet nosce”. E proprio quest’ultima, nella trilogia cinematografica di Matrix, è scritta su una targa di legno appesa nella cucina dell’oracolo, che serve da monito e da guida ai potenziali “Eletti”, come Neo, al fine di capire e comprendere essi stessi e assurgere così a un livello superiore di conoscenza e autoconoscenza.
E voi, quando guardate la vostra immagine cosa vedete? Mostra chi siete veramente o ciò che vorreste sembrare?
Chiedetevelo al prossimo selfie…