Recensione di “Giurato Numero 2”: Clint Eastwood torna alla regia con un legal thriller tra giustizia e dilemmi morali
Clint Eastwood dimostra ancora una volta il suo talento in "Giurato Numero 2", un thriller legale che unisce introspezione
Clint Eastwood, riprende in mano la macchina da presa e torna a girare un film, all’età di 94 anni, il legal thriller “Giurato Numero 2”.
Justin Kemp, interpretato da Nicholas Hoult, è un padre di famiglia che si presta come giurato in un processo per omicidio.
Durante l’udienza emerge un’inquietante coincidenza, che causa a Justin uno sconvolgente dilemma morale, tanto da portarlo ad indagare in prima persona sul caso, al fine di far assolvere o eventualmente far condannare l’imputato per omicidio.
Un thriller tra giustizia e dilemmi morali
Il film rievoca alla memoria, “La parola ai giurati” di Sidney Lumet del 1957, e al suo pari si concentra sulla forza dei personaggi.
Il dilemma morale del protagonista , infatti pone interrogativi a livello introspettivo, in una sorta di thriller con risvolti psicologici, in cui la materia legale fa da presupposto, coinvolgendo lo spettatore fin dalle prime battute. “Giurato Numero 2”, mostra subito come stanno le cose, ponendo in essere anche tutte le contraddizioni del sistema giudiziario americano, che infatti il regista evidenzia fin dalle prime sequenze con la scelta dei giurati da parte di difesa e pubblico ministero, portati in scena rispettivamente da Chris Messina e Toni Collette.
La Dea della Giustizia: tra cieca imparzialità e convenienza
L’immagine della Dea della giustizia bendata, mostra in senso allegorico, la realtà di un parterre composto da persone che non vedono o fingono di non vedere, a seconda della convenienza.
Justin, con un passato da alcolista, e finalmente uscito dalla dipendenza, che si è rifatto una vita, mentre dall’altra la brama di un pubblico ministero, accecato dal desiderio di far carriera ad ogni costo.
La suspense viene meno, ragionando in termini puramente da thriller, ma come detto il lungometraggio di Clint Eastwood vira volontariamente su tematiche profonde, grazie all’ottima sceneggiatura di Jonathan Abrams, il quale inscena una vicenda che pone all’attenzione i sensi di colpa e le crisi morali, esaltando la prova di Nicholas Hoult, che coinvolge con primi piani di intensa rarità drammatica.
L’originalità dello script, è altresì capace di tenere incollato lo spettatore allo schermo, grazie all’ottima regia ca va sans dire di Clint Eastwood, coadiuvata dalla fotografia , nitida, come a non voler nascondere nulla, in termini allegorici, di Yves Belanger.