Recensione di Speak No Evil: nel remake americano James McAvoy è un disturbante padrone di casa
Recensione di Speak No Evil: nel remake americano diretto da James Watkins, James McAvoy è un disturbante padrone di
Speak No Evil è un titolo che ha fatto parlare di sé fin dal suo debutto danese nel 2022. Diretto da Christian Tafdrup, il film originale ha conquistato pubblico e critica grazie alla sua capacità di esplorare le dinamiche sociali e la tensione che scaturisce dal disagio e dalla paura di offendere.
Tutto parte da una situazione in cui molti si sono trovati, per poi portare il tutto alle estreme conseguenze, e sottolineo “estreme“.
La trama seguiva una famiglia danese che, in un tranquillo weekend nella campagna olandese, si trova invischiata in una situazione terribile, incapace di reagire per paura di infrangere le regole della buona educazione. La pellicola, conosciuta per il suo lento ma inesorabile accumulo di tensione, ha raggiunto un equilibrio perfetto tra suspense e orrore, lasciando il pubblico scosso e con domande su quanto siamo disposti a tollerare per evitare il conflitto.
Hollywood e i remake
Non sorprende quindi che Hollywood, sempre pronta a riproporre successi internazionali in versione americana, abbia subito deciso di fare un remake. Questo fenomeno, ormai consolidato, ha visto l’industria cinematografica statunitense rifare film stranieri anche a breve distanza dalle loro uscite originali. Basta pensare a casi come The Grudge (remake di Ju-On) o Let Me In (ispirato allo svedese Let the Right One In), che spesso mantengono intatto il nucleo narrativo ma cambiano l’estetica e l’approccio per avvicinarsi ai gusti del pubblico americano.
Tuttavia, il rischio in questi remake è sempre quello di perdere la profondità e l’unicità che hanno reso il film originale così speciale. Lo stesso dubbio ha circondato l’annuncio del rifacimento di Speak No Evil.
Alla regia del remake troviamo James Watkins, un regista già noto agli appassionati del genere horror per il disturbante Eden Lake (2008), un film che esplorava i limiti della violenza e della disperazione in un contesto apparentemente banale. Con Eden Lake, Watkins aveva dimostrato una spiccata abilità nel creare atmosfere tese, riuscendo a fondere critica sociale e puro terrore. È quindi facile capire perché sia stato scelto per dirigere il remake di Speak No Evil: la sua sensibilità per le dinamiche psicologiche e sociali si adatta perfettamente alla poetica del film originale.
Stessa trama… fino ad un certo punto
La trama del remake segue da vicino quella del film danese. Una famiglia americana, dopo aver stretto amicizia con una famiglia inglese durante un viaggio, viene invitata a passare un weekend nella loro tenuta di campagna. Quella che all’inizio sembra una vacanza da sogno, però, si trasforma presto in un incubo, con tensioni sempre più crescenti e comportamenti inquietanti da parte dei padroni di casa.
Il remake riesce a mantenere l’essenza disturbante dell’originale, soprattutto nella prima parte, ma ci sono anche alcune differenze significative. Prima di tutto, Watkins ha deciso di accentuare maggiormente il contrasto tra i momenti di calma e quelli di terrore, utilizzando i paesaggi isolati per accentuare il senso di alienazione. In più, mentre l’originale era quasi interamente incentrato sull’orrore psicologico, il remake aggiunge elementi più fisici e violenti, rendendo l’esperienza visivamente più intensa.
Senza scendere in spoiler per non rovinare la visione, nella seconda parte il film muta pelle, dall’orrore psicologico e disturbante e passa ad un survival horror con tutte le caratteristiche del caso. Dove l’originale viveva di sottointesi e ambiguità, l’americano spiega didascalicamente. Sarebbe un problema se non che il film tiene sempre alta la tensione e lo spettacolo. Se vi è piaciuto Eden Lake troverete nel remake di Speak No Evil le caratteristiche cha hanno trasformato quel piccolo horror in un saggio di tensione e violenza.
Rispetto al cast originario e ad un modo di recitare “reggelato”, il cast del remake contribuisce all’immedesimazione dello spettatore. McAvoy torna ad essere uno psicopatico convincente, capace di passare dal fascino alla follia con estrema naturalezza.
Un’opera diversa ma efficace
Speak No Evil nella versione americana è un ottimo film, pur differenziandosi dall’originale per scelte stilistiche e narrative. Se il film danese era tutto incentrato sulla sottigliezza e l’angoscia latente, il remake di Watkins amplifica il tutto con una maggiore enfasi sull’horror viscerale e una tensione costante che non concede tregua. È un’opera diversa, ma altrettanto efficace, e dimostra che un remake, quando ben fatto, può riuscire a mantenere intatta l’essenza di un’opera, pur adattandola ai gusti di un nuovo pubblico.