“Si Dice Di Me”: teatro e sorellanza nel documentario di Isabella Mari
La regista Isabella Mari dirige "Si dice di me", documentario sull'attività di Marina Rippa, che nel cuore di Napoli,
La regista Isabella Mari dirige “Si dice di me“, documentario sull’attività di Marina Rippa, che nel cuore di Napoli, da oltre trent’anni, guida tantissime donne di tutte le età, attraverso il teatro.
Il potere del teatro come strumento di emancipazione
Il suo lavoro è molto particolare: ha creato uno spazio vitale che è frutto di libertà ed emancipazione.
Il suo intento era quello di iniziare questo progetto nei quartieri più disagiati della città, in un percorso di ricerca del sé, per mezzo di un laboratorio teatrale che fosse in grado di far loro esprimere ciò che sono realmente, superando i limiti imposti dalla cultura in cui vivono.
I loro incontri diventano quello spazio necessario per quella condivisione che fa nascere la sorellanza che sarà lo strumento di riscatto.
La sorellanza come strumento di riscatto
È molto interessante questo esperimento, poiché riesce a far comprendere come le esperienze siano comuni poiché si è tutti legati da un inconscio collettivo, come asseriva Carl Gustav Jung, e come già visto anche nel documentario Smoke Sauna – I Segreti Della Sorellanza di Anna Hints.
Le donne in quell’occasione si prendevano cura l’una dell’altra, attraverso una purificazione del corpo. La sauna aiutava ad espellere le tossine, mentre spontaneamente ognuna raccontava la propria vita. Avveniva anche lì una sorta di liberazione ed emancipazione, che assumeva note catartiche.
Il contatto fisico, nel caso del laboratorio di Marina Rippa, si concentra sui movimenti, che ricordano anche le danze sacre femminili di Georges Ivanovic Gurdjieff, e fanno sì che avvenga anche qui una ribellione naturale, attraverso la percezione di sé, in grado di accrescere quell’emancipazione che segna il proprio spazio nel mondo.
Durante le danze di coppia, le donne a turno guidano il ballo, scambiandosi vicendevolmente storie personali in piena libertà.
Movimento e danza: la ribellione attraverso il corpo
Il film documentario è stato girato durante la pandemia del Covid, evidenziando come per molto tempo gli incontri fossero saltati. Durante le riunioni in video conferenza, era tangibile come mancasse loro, non solo il raccontarsi, ma il condividere le esperienze con il contatto fisico, fatto anche solo di un abbraccio. Quella stretta sincera che aveva dato il via a tutto.
Il progetto di Marina Rippa ha un valore sociale di prima grandezza, risveglia la capacità di volersi bene, in quelle donne che erano schiave del “si dice di me”, che le ingabbiava in un ruolo di sudditanza, in cui anche il rapporto con le amiche con cui erano cresciute faceva ancora parte di quell’humus sociale fuorviante, che tendeva a schiacciarle.
Un omaggio a Pippa Bacca: il simbolo del riscatto
Nella peggiore delle ipotesi, la loro condizione poteva deflagrare anche in episodi di violenza domestica. Significativo a tal ragione l’omaggio a Pippa Bacca, artista performativa che venne brutalmente uccisa dopo aver subito violenza carnale nel 2008 in Turchia, nel bel mezzo della sua performance itinerante intitolata Sposa In Viaggio.
Il documentario infatti si conclude proprio con le donne vestite in abiti nuziali, al termine dello spettacolo portato in scena a mo’ di saggio finale.
L’eredità di Marina Rippa e il futuro del laboratorio
Il lavoro di Marina Rippa, nel corso di trent’anni è stato documentato da lei stessa attraverso album fotografici, al cui interno sono contenute testimonianze di tante donne, e traspare come questo progetto sia oggettivamente salvifico.
Fanno riflettere le parole della stessa Marina che si chiede, quando lei non ci sarà più, che fine faranno quei faldoni con tutte le storie di vita di donne che ha incontrato?
Un interrogativo che guardando questo documentario ci si augura possa fungere da sprone, affinché il testimone sia idealmente e concretamente passato, in nome di Marina Rippa. Grazie a lei hanno avuto la possibilità di prendere coscienza di sé ed emanciparsi molte donne.
E’ inequivocabile quindi come questo laboratorio abbia potenzialmente salvato delle vite, creando coesione di gruppo, ed esperienze da tramandare alle donne che hanno ancora bisogno di liberare loro stesse dal “si dice di me”, attraverso una sana e naturale ribellione.
Il documentario è stato presentato nell’ambito della Festa del Cinema di Roma 2024.