L’Abbazia di Fossanova: dove San Tommaso d’Aquino ci rimise le penne
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In tour nel Lazio meridionale: visita all’Abbazia di Fossanova, dove San Tommaso d’Aquino perse… la testa
Ci eravamo salutati mentre ero in viaggio verso l’ultima tappa del mio tour nel Lazio meridionale: l’Abbazia di Fossanova.
Quando giungiamo al cospetto di questo maestoso complesso monastico, il cielo si è fatto grigio e pesante, e il contrasto cromatico tra quest’ultimo e la pietra bianca dell’abbazia, sembra rendere ancor più duri e spigolosi i suoi volumi. Lo stile dell’abbazia potrebbe essere definito una “transizione” dallo stile romanico a quello gotico, con il suo imponente campanile poligonale, la facciata non troppo slanciata, ma impreziosita da uno splendido portale strombato – sormontato da una lunetta in mosaici cosmateschi – e un grandioso rosone. L’interno, come tutte le chiese degli ordini cistercensi è realizzato in pietra nuda. Le forme candide dei pilastri a fascio e le volte a sesto acuto si protendono morbidi e pacati verso una dimensione superiore che tutto in questa architettura austera e accogliente, sembra suggerire; persino le vetrate absidali, ricavate da sottili lastre di alabastro, che filtrano la luce, modulandola nei suoi toni più caldi.
Proprio la zona dell’abside, ci informa la nostra guida, è teatro di un mistero rimasto irrisolto, le cui origini affondano nel Medioevo: in questo complesso monastico – il 7 marzo 1274, in una stanzetta della Casa dell’Abate, nella Foresteria – si spense il dottore della Chiesa San Tommaso d’Aquino, illustre esponente dell’ordine domenicano. Ovviamente i domenicani vennero a reclamare le spoglie del teologo per trasportarle in una degna sepoltura. I monaci dell’abbazia acconsentirono alla cessione del corpo, a patto che lasciassero loro… la testa. Così il povero Tommaso, reo di essere “santo”, venne decapitato post mortem ed il suo corpo prese, assieme ai domenicani, la strada verso il luogo di sepoltura. Tutto nella norma – secondo la macabra pratica delle reliquie – se non fosse che molti anni dopo, venne rinvenuto – murato nell’abbazia – un corpo senza testa. Questa vicenda mi ha fatto tornare in mente un’usanza della mia bisnonna, che aveva vissuto in tempo di guerra: dal macellaio non comprava mai il coniglio se non aveva anche la testa, per timore che le vendessero, con l’inganno, un gatto …
Chi vuole intendere intenda.
Fuori dalla chiesa, ci addentriamo nella visita degli altri ambienti del monastero; primo tra tutti il meraviglioso e florido chiostro, scandito e impreziosito da colonnine binate dalle fogge più varie e fantasiose, ma sempre estremamente raffinate.
Dopo aver visto gli ambienti semplici in cui San Tommaso ha trascorso le sue ultime ore di vita e il refettorio, giungiamo nella sala più interessante di tutte: la Sala del Capitolo; dai soffitti percorsi da imponenti costolonature che si dipartono da pilastri a fascio che sembrano delle simpatiche palmette. Però, la cosa che più mi colpisce di questa sala è la spiegazione che la guida ci fornisce sul nome; perché è proprio da qui che si origina un modo di dire usato frequentemente, quasi sempre senza conoscere il perché di questa espressione: “avere voce in capitolo”.
L’espressione viene usata in riferimento a qualcuno che ha autorità, credito, per intervenire in una discussione o nel prendere una decisione. Questo perché negli antichi monasteri era costume dei monaci, prima che si avviassero al lavoro giornaliero, leggere qualche capitolo delle Sacre Scritture, così, tanto il luogo dove si svolgeva questa lettura, quanto la stessa congregazione di religiosi, e quelli di loro che potevano riunirsi in assemblea in questa sala per dibattere e prendere decisioni, presero la stessa denominazione. Dunque, colui che aveva diritto di parola e di voto in questa adunanza, aveva “voce in capitolo”.
Tutta felice per questa nuova scoperta etimologica mi dirigo verso il bookshop del monastero, dove sono esposti centinaia di santini e rosari di ogni tipo. Decido di acquistare due cartoline che ritraggono l’abbazia nella nuance seppia, che gli conferisce una splendida patina malinconicamente retrò.
Una volta alla cassa, noto esposte nel bancone di vetro delle “medaglie” con una croce incisa e circondata da misteriose lettere; chiedo numi alla negoziante che mi spiega che quel manufatto e un potente esorcismo e che, se sono interessata a comprarlo, devo prima “attivarlo” con una particolare preghiera, e mentre me lo dice, tira prontamente fuori un foglio da sotto il bancone.
Rifletto un momento sullo sguardo serissimo quanto inquietante della donna, la ringrazio, declino gentilmente l’acquisto e, sorridendole, mi avvio verso l’uscita del negozio con il cauto “passo del granchio”.
Fortunatamente il mio turbamento svanisce subito, sciolto dal dolce e semplice profumo di biscotti appena fatti, proveniente dal forno sul lato opposto della strada, mmm… che bontà. E adesso che ci penso, è proprio ora di merenda!
È proprio giunto il momento di prendere la via del ritorno, così, serena, salgo con i miei dolcetti sul pullman, mi accomodo al mio posto e saluto con uno sguardo l’abbazia che, pian piano perde i suoi contorni in lontananza.