Recensione de La società della neve, il film di J.A. Bayona disponibile su Netflix
Recensione de La società della neve, il film di J.A. Bayona su Netflix che racconta la storia vera di
Nel 1972, il volo 571 dell’aeronautica militare uruguaiana, noleggiato per trasportare una squadra di rugby in Cile, subisce un incidente inaspettato e si schianta contro un ghiacciaio nel cuore delle Ande. Intrappolati in uno degli ambienti più inaccessibili e ostili del pianeta, i sopravvissuti saranno costretti a prendere misure estreme per rimanere in vita.
Approdato su Netflix dal 4 gennaio dopo aver chiuso Venezia 80, La società della neve racconta una storia già portata sullo schermo da “I sopravvissuti delle Ande” (1976) e da “Alive – Sopravvissuti” (1992).
Il regista J. A. Bayona non è nuovo a simili prove, riuscendo a passare agilmente dalla fiaba gotica di The Orphanage e Sette minuti dopo la mezzanotte ad un altro dramma catastrofico tratto da una storia vera, lo tsunami messo in scena in The Impossible (senza dimenticare la sua prova nel blockbuster Jurassic World – Il regno distrutto).
Una nuova società
La società della neve mantiene la stessa struttura di The Impossible, con una prima parte introduttiva in cui vengono presentati i personaggi, per passare all’incidente (momento molto teso e spettacolarmente efficace) e filmare poi le sue conseguenze, con giorni apparentemente sempre uguali in cui i sopravvissuti dovranno “rifondare” una sorta di nuova società, venire a patti con le loro paure, per aiutarsi a sopravvivere.
Il titolo del film è un buon indizio per capire cosa il regista, che trae spunto dall’omonimo libro di Pablo Vierci, vuole comunicare.
Poteva facilmente diventare un Signore delle mosche, invece questi ragazzi, tutti credibili, tridimensionali, si sostengono, si aiutano, si supportano, riuscendo persino a ridere in alcuni momenti, stemperando la tensione sempre costante, sostenuti dal loro essere indispensabili, gli uni per gli altri.
E se pensate che la scena dello schianto aereo sia di una tensione insopportabile, devo darvi la notizia che andando avanti la pellicola regala altri momenti molto duri che faranno venire il sudore freddo agli spettatori.
Persi nel bianco della montagna
Bayona lavora benissimo sugli spazi aperti, filmando una natura bellissima e indifferente, così come sa essere claustrofobico quando filma i ragazzi al chiuso nella carcassa dell’aereo, sa farci morire di freddo così come ci fa godere degli sprazzi di luce, ci colpisce duro con scene brutali e poi torna ad essere aulico, utilizzando benissimo un sound design ovattato e la splendida colonna sonora di Michael Giacchino, insieme ad una voce off che commenta e sottolinea.
Il film colpisce e commuove, riuscendo a trasmettere al pubblico le emozioni, le paure, le speranze e le sofferenze dei protagonisti, interpretati da un cast di giovani attori bravissimi e credibili; non si concentra solo sulle difficoltà fisiche e materiali che i sopravvissuti dovettero affrontare, ma anche sulle sfide morali e psicologiche che li misero alla prova, come il ricorso al cannibalismo, la fede, la solidarietà, il senso di colpa e la volontà di vivere.
Fede: una delle scene iniziali del film si svolge in una Chiesa, mentre il parroco sta leggendo il passo di Gesù tentato per quaranta giorni nel deserto, quasi un triste presagio di quello che avverrà dopo, non un deserto infuocato, ma distese di ghiaccio e bianco a perdita d’occhio. “Quale miracolo?” dice un sopravvissuto alla fine, riabbracciando finalmente la madre che aveva commentato come quello fosse, appunto, un miracolo.
Perché quello che abbiamo visto fino a quel momento, è un film a tratti spirituale, molto trascinante sul piano emotivo e senza un attimo di cedimento, ma non sul divino, è un film sugli uomini e la loro forza, è un film sul valore profondo della vita, sull’importanza dell’amicizia e sulla forza dello spirito umano. Un film che abbandona il divino, per abbracciare tutti noi.