“Woman of the Hour”: recensione del film Netflix, esordio alla regia per Anna Kendrick
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Woman of the Hour segna il debutto alla regia di Anna Kendrick, che sceglie per il suo esordio una storia vera inquietante e drammatica: quella del serial killer Rodney Alcala. Negli anni ’70, Alcala partecipò al programma televisivo The Dating Game (la versione italiana era Il Gioco delle Coppie), un quiz in cui una donna sceglieva un pretendente tra tre uomini nascosti dietro una parete. Nessuno, nemmeno la produzione, sapeva che uno di quei pretendenti fosse già coinvolto in una serie di omicidi, destinata a continuare.
Tratto da una storia vera
Alcala, noto come il “Dating Game Killer“, ha commesso omicidi tra la fine degli anni ’60 e la fine degli anni ’70. Il fatto che sia riuscito a partecipare a un programma televisivo, pur essendo nel bel mezzo di una serie di crimini, rende la sua vicenda ancora più assurda. Il film, ispirato a questi eventi, si concentra sul momento in cui Cheryl Bradshaw, la giovane attrice in cerca di visibilità interpretata dalla stessa Kendrick, lo incontra durante la puntata del quiz. Quella che doveva essere una serata di intrattenimento si trasforma in un incubo, che viene qui raccontato con toni sobri ma efficaci.
Un narrazione bilanciata e una denuncia contro la misoginia sistemica
Kendrick, pur essendo alla sua prima prova come regista, costruisce una narrazione bilanciata. Il film riesce a mantenere una buona tensione senza eccedere in sensazionalismi. Ci sono momenti di forte inquietudine, ma la regista sceglie di non esagerare con elementi horror o violenza esplicita, lasciando che la tensione si sviluppi in modo naturale.
Il film riesce a intrecciare sapientemente il mondo patinato dello spettacolo con l’oscurità della violenza e della misoginia sistemica, offrendo una riflessione profonda su come le donne sono spesso costrette a navigare attraverso un universo di minacce maschili, sia palesi che sottili.
Il film non si limita a raccontare la storia di un serial killer: esplora il tema più ampio della violenza di genere, mostrando come il comportamento di Alcala sia solo una delle molteplici sfaccettature di un sistema che mette costantemente le donne in situazioni pericolose. Dalla banalizzazione della figura femminile nel programma televisivo, alla manipolazione e colpevolizzazione delle vittime, Woman of the Hour è una potente denuncia contro la normalizzazione della misoginia.
Il tono del film è cupo, ma c’è spazio per momenti di riflessione sociale. Kendrick sfrutta il formato del gioco televisivo per evidenziare l’oggettivazione e la pressione che le donne subiscono, trasmettendo un messaggio forte senza mai appesantire la narrazione.
La ricostruzione degli anni ’70 è ben fatta, con un’attenzione ai dettagli che immerge lo spettatore nell’epoca. Dalla scenografia ai costumi, tutto è accurato e coerente, contribuendo a dare credibilità al racconto.
Un cast solido per un film equilibrato
Il cast è solido, con Anna Kendrick nel ruolo della protagonista Cheryl, che interpreta con sensibilità il suo personaggio, una donna intrappolata in una situazione pericolosa senza saperlo. Daniel Zovatto è efficace nel ruolo di Rodney Alcala, capace di bilanciare l’apparente normalità con un’oscura minaccia latente. Anche il resto del cast, tra cui Tony Hale, offre buone performance, con personaggi che rappresentano diversi lati del mondo televisivo dell’epoca.
Woman of the Hour è un film equilibrato, che riesce a gestire una storia vera complessa senza scadere nel melodrammatico o nell’horror gratuito. Kendrick si dimostra abile nel creare tensione, pur mantenendo uno stile sobrio e focalizzato sui personaggi e sulla narrazione. Un buon film, ben diretto e interpretato, che offre uno sguardo critico su un momento storico inquietante, ma non esagerato, della televisione americana. Merita sicuramente una visione.